Lo statalismo fideistico dei grillini

Oramai “DiMartedì”, il popolare talk-show condotto dall’abile Giovanni Floris, alterna a cadenza regolare una lunga ospitata a beneficio dei due più conosciuti esponenti del Movimento 5 Stelle: Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. A quest’ultimo è toccata l’ultima puntata del 6 giugno. Il “Dibba”, definito in un articolo de “Il Giornale” di tre anni fa “il bullo a 5 Stelle che fa carriera con le sparate”, non ha smentito tale nomea, esordendo con una raffica di invettive contro Giorgio Napolitano accusato, tra le altre cose, di essere stato un politico al servizio della Cia.

Ma è sul tema del momento, rappresentato dalla legge elettorale, che l’esponente pentastellato ha sciorinato tutta la sua weltanschauung de’ noantri. Una visione basata su poche e molto confuse idee che, tuttavia, poggia su un assunto assolutamente granitico per Di Battista: i cittadini che si fanno Stato. Ed è proprio ciò che avrebbe spinto il nostro ad aderire al Movimento fondato e diretto con il pugno di ferro da Beppe Grillo.

Sostenendo di avere l’orticaria per la definizione di classe dirigente, il bilioso esponente grillino ha sostanzialmente ribadito la demenziale dicotomia cittadini capaci e virtuosi versus establishment politico formato da corrotti e incompetenti. Siamo dunque lontani anni luce da quel sempre valido e attuale principio liberale secondo cui il Governo migliore è quello che governa il meno possibile. Principio che in Paesi più evoluti del nostro ha generato da tempo una crescente resistenza nei riguardi della storica tendenza, presente in tutte le società industrializzate, all’aumento dell’intervento pubblico ad ogni livello della collettività.

Per Di Battista, al contrario, non è l’invasività di un sistema politico-burocratico che in Italia è giunto a controllare il 55 per cento delle risorse il problema. Egli, al contrario, ritiene che dando tutto il potere ai soviet dei cittadini comuni - come se i politici che militano negli altri partiti provengano da qualche pianeta alieno - il Paese di Pulcinella possa rapidamente trasformarsi in un giardino fiorito, con redditi di cittadinanza per tutti e asini che volano anche di notte.

D’altro canto, dopo decenni di dominio culturale di una visione politica che ha fatto dell’assistenzialismo finalizzato al voto di scambio il suo principale paradigma, è quasi inevitabile che arrivi un Di Battista qualsiasi, con tutto il suo ricco bagaglio di luoghi comuni da bar, a monopolizzare la scena. Sotto questo profilo, il lungo sonno di un Paese che stenta a fare i conti con la realtà è fisiologico che generi “mostri” politici. Ce ne dobbiamo fare una ragione.

Aggiornato il 07 giugno 2017 alle ore 21:18