Il terrore da Londra a Torino

lunedì 5 giugno 2017


Ancora una notte di sangue a Londra e poi la follia di Torino. A questa contabilità del terrore tocca che ci si abitui. Sarà così per molto, almeno fin quando la partita con il radicalismo islamico resterà aperta. Nella serata di sabato, nel cuore della capitale britannica è andata in scena l’ultima versione del jihad che fa a meno delle bombe, della pianificazione militare degli attentati, ma che ricorre ai servigi delle quinte colonne infiltrate ”behind enemy lines”.

È bastato un furgone e tre assassini, armati di coltelli, per fare una strage. Il bilancio: 7 morti e 36 feriti, di cui 21 gravi. I tre attentatori sono stati neutralizzati dalle forze di polizia britanniche, intervenute nell’area di London Bridge e di Borough Market dopo soli otto minuti dai primi ferimenti. Per i terroristi obiettivo centrato: seminare il panico cogliendo le vittime nel loro momento di maggiore rilassatezza. Il sabato sera è normale che chiunque, dopo una settimana di lavoro, desideri lasciarsi andare a un meritato relax. Si chiama buona gestione del tempo libero e aiuta a rendere migliore la vita. Nessun uomo è una macchina, nessun individuo è nato solo per produrre. Ognuno ha bisogno di staccare periodicamente la spina e riacquistare il suo equilibrio esistenziale attraverso lo svago. Lo sanno tutti. E lo sanno i nemici giurati dell’Occidente se è vero che colpire “i crociati” mentre abbassano la guardia nei momenti di riposo faccia, se possibile, più male. È la nuova frontiera della guerra in cui siamo precipitati. Ma sabato non c’è stata soltanto Londra. Quasi in simultanea a Torino si è consumato un dramma ugualmente grave. C’entra il terrorismo. O meglio, c’entra la paura generata dal terrorismo.

Nella centrale piazza San Carlo davanti ai maxischermi si era raccolta una folla di juventini per assistere alla finale di Champions. All’improvviso è scoppiato il panico. Forse un petardo, forse la bravata di un idiota. La gente si è spaventata temendo un attacco terroristico ed è fuggita travolgendo chi cadeva a terra. Una scena da incubo. Sembrava tornato il 1985. La maledizione dell’Heysel. Un’altra onda di panico omicida di una notte di Coppa finita in tragedia. 1527 i feriti che sabato sono ricorsi alle cure ospedaliere. Alcuni versano in gravi condizioni. Tra questi Kelvin, un bambino di origini cinesi che ha riportato lesioni craniche e toraciche da schiacciamento. Le belve dell’Is ringraziano e si godono lo spettacolo di quei bizzarri italiani che si fanno del male da soli. La verità è che a lavorare per il Jihad ci ha pensato il sentimento contagioso della paura. Peggio della roulette russa. Tuttavia, benché sia comprensibile il senso d’insicurezza, non è questo il momento di cedere all’isteria collettiva. Che si fa? Non si tira più fuori la testa di casa? È il sogno dei nostri nemici, a cui non bisogna darla vinta. Ma chi ci governa deve fare la sua parte. Innanzitutto impegnando più risorse per la difesa dell’ordine pubblico. E non basta. È giunta l’ora di riscrivere il “pactum societatis” al quale i residenti provenienti da altri mondi e praticanti religioni antitetiche a quella cristiana devono aderire se vogliono stare tra noi. Non è accettabile che a causa una distorta idea della tolleranza si consenta che i diritti di libertà conquistati in secoli di dure lotte stiano sullo stesso piano del diritto all’odio verso l’accogliente civiltà occidentale. Stop all’ingresso incontrollato di clandestini. Sorvegliare le frontiere non è una bestemmia, come vorrebbe far credere la sinistra. La libertà non è un’opzione della democrazia, ma il presupposto inalienabile di uno Stato moderno ed evoluto. Prendiamo insegnamento dalla storia.

Come accadeva un tempo, si costruivano mura intorno alle città e i castelli del contado avevano i ponti levatoi per proteggere i cittadini pacifici e per stanare i nemici annidati all’interno. Non era un ossimoro del buon senso segregarsi per restare liberi. Siamo con Theresa May che oggi annuncia un giro di vite nel suo Paese contro la fallacia multiculturalista. Invece, chi ha fatto dell’abbattimento di tutti i muri e dell’esaltazione della “società aperta” gli “idola tribus” del nostro tempo dovrebbe piegarsi alla realtà che impone di cambiare verso. Attenti! Si può essere idolatri anche professandosi buoni cristiani. E non c’è paradiso garantito per chi s’arrende al nemico spalancando le porte ai suoi multiformi cavalli di Troia.


di Cristofaro Sola