Elezioni anticipate: sì, no, forse

Si sta ragionando un po’ da tutte le parti, compresa la nostra che è poi il nostro giornale, sul tema più caldo politicamente parlando: elezioni anticipate sì, elezioni anticipate no. Ed è quasi obbligatoria l’altra domanda: cui prodest? Pensando, tra l’altro e soprattutto, alla consistenza elettorale ventura di quei pentastellati ritenuti fino ad ora soltanto di lotta e un domani (hai visto mai…) di governo.

Già, com’è potuto accadere questo senza la complicità di un compiacentissimo coro mediatico che soltanto adesso si sta accorgendo delle potenzialità grilline? Appunto, e lasciamo lì, come si dice a Milano. Il fatto è che la riflessione sulle elezioni prossime venture non tiene conto di almeno due fattori essenziali: la situazione socio-economica italiana e la Presidenza della Repubblica. Questo secondo è un fatto per modo di dire ché il rispetto che abbiamo per Sergio Mattarella è tanto più evidente quanto più la sua presenza è silenziosamente guardinga e, soprattutto, decisiva. Esattamente all’opposto dei birignao renziani e delle sparate, ora in ribasso, dei grillini. Ora in ribasso, ma soltanto in funzione della strategia casaleggiana che prevede, e non poteva non prevederlo, una fase completamente nuova per i supposti statisti alla De Giovanni, la cui brillante incapacità di nuove idee è direttamente proporzionale alla infinita presunzione di diventare, fra qualche mese o giù di lì, governanti in prima persona. E magari con un alleato come Matteo Salvini, in una gara fra di loro a chi ha tradito più sfacciatamente le storiche istanze: l’opposizione senza se e senza ma all’intera classe dirigente politica, dal Partito Democratico a Forza Italia, da parte del M5S e dell’indipendenza del Nord da parte salviniana. Diciamoci la verità, entrambi fanno i conti senza l’oste o gli osti, fra cui oseremmo metterci una parte dell’Italia che non se la sente di farsi fregare ancora una volta. Ma è specialmente la necessità più autentica di questo anticipo elettorale che fa pensare.

Che interesse reale possono avere due storiche realtà politiche come il Pd e FI, sia pure per ragioni un po’ contrapposte, di anticipare di qualche mese una scadenza naturale a meno che non si tratti, come sospettiamo, di avere le mani nette da qualsiasi manovra lacrime e sangue che dovrà essere assunta con la finanziaria? Certo, al Cavaliere uno scherzetto al Renzi di nuovo ringalluzzito dall’accordo sul leggendario proporzionale con sbarramento al 5 per cento, farebbe qualche piacere. Ma siamo sicuri che Forza Italia goda di tanta salute da permettersi una fuga in avanti come le elezioni a settembre con un Salvini più di là con Grillo che di qua con Berlusconi, e i due oggettivamente (per dirla con Marx) tentati di governare insieme qualora il fatale settembre premi i pentastellati con l’obbligo di Mattarella di incaricarli a fare un nuovo governo.

Che spettacolo, direte voi. Ma se lo dice anche il capo dello Stato ed è giusto e sacrosanto che sia così nella misura e nelle modalità in cui un’ipotesi devastante come un governo grillino con alleato Salvini possa realizzarsi. Il Quirinale, in questo senso, non è soltanto il garante per antonomasia della Polis e di chi la deve governare, ma anche e soprattutto del Paese nel suo complesso, nella sua economia, nelle sua condizione sociale, nella sua collocazione europea, ovviamente nel rispetto delle regole, che valgono per tutti.

E poi c’è o ci dovrebbe essere l’altro presidente, il primo, primissimo cittadino italico, ovverosia il buon senso, che si sta ponendo la solita domanda: cui prodest?

Aggiornato il 31 maggio 2017 alle ore 18:05