Mattarella batta un colpo

La discussione sulla legge elettorale rischia seriamente di diventare il casus belli dello scioglimento anticipato delle Camere. Sia chiaro, una legge elettorale è indispensabile e urgente perché a tutt’oggi l’Italia è una democrazia zoppa. L’hanno azzoppata i partiti che hanno intignato ad approvare leggi elettorali vergognose e incostituzionali, quali apparirono sùbito a chi le guardava senza la concupiscenza dei politici cialtroni a cui servivano per prevalere forzando il sistema rappresentativo verso l’oligarchia del cuore anziché del voto personale. L’ha azzoppata la Corte costituzionale, coraggiosa nell’amputare le sconcezze di quelle leggi ma timorosa di cancellarle del tutto, accampando il consolidato sofisma secondo cui una pur rudimentale normativa elettorale deve comunque restare in piedi, per ogni eventualità.

L’ha azzoppata il Presidente della Repubblica che ha promulgato una legge elettorale che prevedeva l’elezione di una sola Camera mentre le Camere elettive erano ancora due. Ora il Parlamento ha ripreso a discutere di legge elettorale ma pure di elezioni anticipate. Il rischio è che ottenga le seconde senza la prima, alla quale malauguratamente ma necessariamente dovrebbe provvedere il Governo e il capo dello Stato con un decreto legge che elimini le più stridenti discrasie tra i due monconi lasciati in vigore dalla Consulta. I decreti legge in materia elettorale, a meno che non riguardino qualche pratico dettaglio tecnico, sono considerati alla stregua di atti eversivi se regolano elementi essenziali della rappresentanza, come accadrebbe nella fattispecie. Tuttavia, in tale pur deprecabile caso, il decreto legge sarebbe pienamente giustificato dal principio immanente Salus rei publicae suprema lex, perché Governo e Presidente avrebbero il dovere costituzionale, politico, morale di sostituirsi ad hoc ad un Parlamento tanto illegittimo quanto impotente.

A questo punto mi pare sacrosanto l’appello a Mattarella affinché batta un colpo. Egli ha già dichiarato, in pubblico e no, che scioglierà il Parlamento solo dopo che avrà approvato una legge elettorale che scongiuri maggioranze parlamentari contraddittorie, le quali potrebbero condurre di nuovo allo scioglimento di entrambe le Camere o di una sola. Supponiamo che una legge del genere venga approvata prima dell’estate. Ciò nonostante, dal punto di vista politico, non sarebbe sbagliato anticipare le elezioni di cinque o sei mesi, scagliando addosso al nuovo Parlamento il macigno della legge di stabilità? Ciò nonostante, dal punto di vista costituzionale, non sarebbe sbagliato far passare ed applicare una legge elettorale purchessia, gettando sul nuovo Parlamento, ancor prima di nascere, l’ombra scura dell’elezione con un’altra legge inficiata? Il Presidente della Repubblica ha, tra gli altri, due “poteri di messaggio”.

Il primo gli deriva dall’articolo 74 della Costituzione. Prima di promulgare una legge, Mattarella può, con messaggio motivato, chiedere alle Camere una nuova deliberazione. Il secondo gli proviene dall’articolo 87 della stessa Costituzione, che lo autorizza a inviare alle Camere messaggi cosiddetti liberi, cioè svincolati da una specifica legge. Pur essendo vero che, storicamente, sia i messaggi di rinvio sia i messaggi liberi non hanno avuto eccessiva fortuna, nella presente contingenza sembrano gli strumenti più appropriati per porre, doverosamente, pubblicamente, solennemente, la classe parlamentare di fronte alle sue enormi responsabilità politiche.

Con il messaggio ex articolo 74 Mattarella può ritardare (fin quasi a bloccarla, considerato il tempo esiguo alla fine naturale della legislatura) ogni legge elettorale direttamente o indirettamente irrispettosa dei principi costituzionali implicati e connessi alla democrazia rappresentativa e al governo parlamentare. Con il messaggio libero, che è urgente nelle condizioni date, anche per le travagliate vicende della morente legislatura, il Presidente della Repubblica, a prescindere dalla sorte della legge elettorale, dovrebbe manifestare ai rappresentanti e ai rappresentati la sua preliminare determinazione di rifiutare, nell’interesse supremo dello Stato, il pretestuoso scioglimento anticipato, salvo che il Governo venga sfiduciato con voto formale e il Parlamento dimostri di non voler accordare la fiducia a nessun altro Governo. Il Presidente della Repubblica dev’essere giudice della legislatura, non testimone muto della fine.

Aggiornato il 31 maggio 2017 alle ore 12:09