Manifestare sì, ma per cosa?

Non c’era Matteo Renzi, e meno male per lui. E neppure Marco Minniti che, per fortuna nostra, ha cose più utili da fare (per l’accoglienza) che marciare in un bel sabato di sole. Lui pensa anche alla sicurezza per via del suo ufficio ma anche e soprattutto per una diversa ottica da cui guarda a simili frangenti. Lo sappiamo e vada avanti così. Alla manifestazione non erano in pochi ma non è questo il punto, anche se è tutto uno sfarfallio mediatico di “bene, bravi, bis”. Il punto vero di questa marcia, come di altre, beninteso, e con un target diverso, riguarda la sua stessa essenza, la sua reason why, la sua ragione di essere, il suo perché.

Diciamocelo una volta per tutte, sebbene con toni calmi e non polemici: che ragione c’era e c’è per una città come Milano di sfilare in migliaia per l’assistenza ai migranti, cioè gli immigrati, e contro le barriere che vi si oppongono? C’è forse un’emergenza di questo problema, peraltro epocale? Esistono dei muri cittadini che si frappongono alla giusta e umana consapevolezza di un’assistenza a chi scappa dalla miseria e dalle persecuzioni? Milano, anche in ragione della sua felice stagione sociale ed economica, non soffre di particolari chiusure al diverso, come si dice. Non ha mai, o quasi, mostrato il viso dell’armi a quanti, e sono stati davvero tanti che nella storia di questo secolo, sono arrivati all’ombra della Madonnina sia con i treni della speranza, vuoi con le classiche pezze al culo dopo un viaggio da sud a nord del Paese, vuoi, in questi anni recenti, provenienti dal cosiddetto Terzo Mondo.

La voce del verbo respingere non si ritrova nel vocabolario meneghino, purché l’approdo alla città derivi certo dall’esigenza di cambiare in meglio e di contribuire alla crescita di Milano. Se le cose stanno così riesce davvero difficile ritrovare una spiegazione, che non stia a braccetto del populismo a buon mercato, che motivi per davvero uno marcia folkloristica e anche festosa ma pur sempre con un segnale che denota un che di appiccicaticcio, di stonato per non dire di funzionale a ciò che ha ben poco a che fare con l’accoglienza. E parecchio, al contrario, con una certa sinistra. Con in più e in peggio un palese affronto a Israele che, infatti, non è stata della partita, come la Comunità israelitica, diversamente dalla Ucoii, dalle donne musulmane rigorosamente separate e dai giovani musulmani.

Non solo, ma una nutritissima schiera dei marcianti sembrava, anzi lo era, una fetta consistente di un Partito Democratico in evidente dissenso sia con Minniti sia con la Questura ambrosiana a proposito di quel Ismail Tommaso Ben Youssef Hosni, mezzo tunisino e mezzo italiano, attentatore di poliziotti alla stazione centrale e sul quale i distinguo di non pochi marciatori a senso unico hanno mostrato sensibilità per costui e malcelata contrarietà alla polizia di Stato e alle sempre più necessarie misure di controllo in luoghi strategici come la stazione centrale.

Una manifestazione senza un perché, dicevamo all’inizio. Ma comunque utile perché ha manifestato una plateale contraddizione dentro il Pd fra le esigenze di una chiara gestione della sicurezza con rigorosi controlli e con decreti ad hoc, e di una politica che sottopone questi obblighi a un buonismo d’accatto e pericoloso.

Aggiornato il 23 maggio 2017 alle ore 14:00