La telefonata e la crisi della giustizia

Il problema posto dalla telefonata giuridicamente irrilevante tra Matteo Renzi e il padre Tiziano non è il giornale che l’ha pubblicata, ma la fonte che l’ha fatta uscire dai brogliacci delle intercettazioni autorizzate dalla magistratura. L’informazione fa e deve fare il proprio mestiere. E quando una notizia è in circolazione nessuno, in un Paese democratico, può impedire che diventi strumento e mezzo di speculazione e strumentalizzazione politica. Ma la questione che riguarda il rispetto dello stato di diritto, le garanzie costituzionali dei cittadini e lo stesso funzionamento del sistema democratico del Paese non è se stampa e politica svolgono la loro funzione naturale ma se negli apparati dello Stato, nella magistratura, negli organismi giudiziari, nelle forze dell’ordine c’è chi svolge la propria in maniera irresponsabile tradendo quella Costituzione di cui dovrebbe essere difensore e garante.

La vicenda dei Renzi, Matteo e Tiziano, sembra fatta apposta per riaccendere quella polemica sul tema delle intercettazioni e sul loro uso illecito e spregiudicato che con scarsa fortuna i pochi garantisti del nostro Paese portano avanti da più di un ventennio. Ma riaccendere un qualche focherello di paglia sul tema delle intercettazioni è del tutto inutile. Perché nel frattempo, cioè in questi ultimi due decenni, la questione più grave da affrontare non è quella delle fughe di notizie dalle Procure o dalle forze dell’ordine al servizio dei pubblici ministeri, ma è quella della diffusione dilagante in ogni apparato dello Stato della convinzione che sia scontato, e quasi legittimo, usare la giustizia per fini di parte, non solo politici ma anche economici, commerciali e personali.

I responsabili della fuga di notizie, soprattutto quelle penalmente irrilevanti, sanno perfettamente che saranno oggetto di ogni forma di strumentalizzazione. Qualcuno di loro lo fa per convinzione politica, qualche altro per interesse personale, qualche altro ancora per puro divertimento o per ansia di protagonismo. Ma qualsiasi sia la motivazione, il loro comportamento costituisce un tradimento della Costituzione che cancella lo stato di diritto perché instaura nell’opinione pubblica la sfiducia più assoluta e irrimediabile nei confronti della giustizia e di tutti i suoi rappresentanti.

Non serve, allora, lanciare una campagna per una qualche stretta legislativa sulle intercettazioni. Serve, al contrario, pretendere regole certe per il rispetto dello spirito costituzionale all’interno del sistema giudiziario e degli apparati di polizia al loro servizio. L’alternativa è la fine dell’interesse pubblico e il trionfo di quello personale illegale e criminale!

Aggiornato il 17 maggio 2017 alle ore 20:36