Nel M5S una sola voce: quella del padrone

C’era una volta, anzi, c’erano una volta i partiti. Questo si sa, ma il repetita iuvant serve anche e soprattutto a riavvolgere il nastro della storia non tanto dei partiti quanto, piuttosto, di ciò che li strutturava (al di là del consenso elettorale, ovviamente), quale era la loro vita interna, i luoghi di incontro, come si organizzava “partiticamente” la dialettica, il formarsi delle maggioranze, le garanzie alle minoranze e così via.

Perché ritorno su queste antichità museali a rischio di annoiarvi? Perché quando il nostro direttore parla di nuovi cattivi maestri puntando l’indice contro quelli che comandano nel Movimento 5 Stelle - cioè uno solo, ovvero Beppe Grillo - implica necessariamente un parallelo ragionamento che non può non riguardare l’ultimissima querelle interna al grillismo: la querela della Marika Cassimatis, neo leader genovese ed ex grillina, contro il patron, pardon il padrone del movimento che l’ha cacciata via, l’ha espulsa, ha cancellato lei e i suoi brillanti successi interni rendendola, per l’appunto, una ex. Pure Alessandro Di Battista è stato querelato per il reato di diffamazione, ché non poteva non adeguarsi alla voce del padrone. Che succederà? Come andrà a finire? E il Tar, tanto per dirne uno di tribunale, cosa deciderà? E lui, il Nembo Kid pentastellato, ne uscirà come sempre incolume o qualche cicatrice se la ritroverà? Chi vivrà vedrà.

Ma facciamo un passo indietro, riannodandoci al ragionamento iniziale sulle strutture interne dei fu partiti storici. Un’espulsione era non soltanto rara, a parte cause provate di disonestà-indegnità, ma, qualora venata di motivazioni, cioè dissensi ideologici, era comunque sottoposta a una serie di esami preventivi che iniziavano, sempre e comunque, da discussioni interne ai vari livelli di sezione, di federazione, di comitato centrale e di direzione. Esistevano - e come potevano non esistere - i comitati direttivi, quelli esecutivi, i probiviri, le commissioni di controllo. So di essere noioso, ma vorrei insistere sul lato più significativamente democratico di tali livelli decisionali, ovvero la sua apertura sempre e comunque, all’ascolto delle ragioni dell’altro. E l’espulsione, peraltro mai frequente, era il frutto di dibattiti, confronti e verifiche fino all’atto estremo. Per chiunque, militante di base o di vertice. Ora, a proposito della sfortunata Cassimatis, lasciamo perdere le mancate discussioni interne, le assenti dialettiche fra accusa e accusata, il segreto istruttorio, se c’è stato. Ma una domandina, una sola, e se sbaglio chiedo venia: ma nel M5S esiste un comitato di probiviri che possa imbastire una pratica di espulsione in base a dati, fatti, parole, decisioni, prese di posizione e quant’altro possa e debba bollare la malcapitata del reato di indegnità? Non conosciamo la vita interna del M5S, ma dubitiamo fortemente che sia ispirata ai modelli d’antan, tant’è vero che qualsiasi mass media ha attribuito la cacciata della Cassimatis alla responsabilità individuale, a uno solo, a lui, (anzi a Lui), con un gesto indiscutibile, irrevocabile, inappellabile e degno del “padrone sono me” di panziniana memoria.

A noi non interessa minimamente la questione degli avvisi di garanzia, intesi invece nel vocabolario grillino come una macchia che soltanto le dimissioni possono in qualche modo allontanare, col seguito di prammatica “e la magistratura faccia il suo corso”. Che Virginia Raggi, indagata, resti al suo posto, è più che normale e giustificato. Lo stesso vale per altri grillini indagati sindaci qua e là, e l’identica garanzia deve valere, ovviamente, sia per il mitico “Dibba” che per Grillo, un tipo al quale il popolo milanese di una volta avrebbe affibbiato l’insuperabilmente ironico appellativo di “padrun de la melunera”. Ma un dubbio ci resta: è così sicuro il padrone di oggi di un partito di non diventare, domani, il padrone dei miei stivali? Indovinala, Grillo!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56