Dove ci sta portando  la politica dell’insulto

Dove volete che porti una politica in nome del “vaffa”, se non al vuoto politico? Che sarà pure riempito dallo scagliare reciproco di improperi all’avversario ma, “in fin de la fera” (direbbe il Porta), il danno più vero tocca proprio agli insultatori e, in fondo in fondo (è sempre il Porta), a noi tutti.

Sono rimasto a dir poco basito dalla reazione dei grillini - e di alcune donne del Partito Democratico e non solo - al termine “chiattona” rivolto bruscamente dal presidente Vincenzo De Luca a una consigliera, o qualcosa del genere, grillina. Apriti cielo! De Luca s’è beccato una reprimenda da liscio e busso in nome e per conto di quel politically correct che, spesso e volentieri, serve a insultare a sua volta l’avversario, ma capovolgendo la situazione e sfruttando la cosiddetta parolaccia in un’offesa; nel caso-delitto di De Luca, antifemminista, contro la donna per antonomasia cui il termine alla napoletana “grassa” o “cicciona”, ovverosia “chiattona”, diventa un’ingiuria al sesso debole. Ma non facciamo ridere i polli più di quanto lo stiano facendo i non pochi in politica da anni e, se ci si fa un minimo (non un massimo) di attenzione, ci accorgiamo che il fomite dell’insultismo, sia personale che erga omnes, è stato brevettato proprio da quel Beppe Grillo che, non appena gli toccano una (ma anche uno) dei suoi, s’inalbera, replica sdegnato, s’impanca a distributore di buona educazione, di savoir-faire. Lui, capite?

Perciò mi ha impressionato favorevolmente un fondo dell’elefantino, alias Giuliano Ferrara su “Il Foglio”, non tanto o non soltanto quando trasforma la pittoresca terminologia alla De Luca nel suo opposto, ovverosia in una considerazione colorita e niente più. Voi direte: ma Giuliano fa parte della categoria cosiddetta dei ciccioni. È vero. Ma la sua sorridente saggistica sollecitata dalla reazione grillina possiede sia la grazia del sorriso, sia (soprattutto) un’introduzione che, quella sì, va ben oltre la questione. Perché? Perché invita il lettore, fin da subito, a ragionare non sulla querelle in sé, come ci si sarebbe aspettati, ma su ben altro; sul quadro non entusiasmante della politica o non politica populista, sulla sua gestione, e dunque sugli errori vistosi e i limiti non meno preoccupanti di personaggi come Donald Trump, Marine Le Pen, Matteo Salvini e, indirettamente, Beppe Grillo. Dopo, e non prima, arriva la componente umoristica riferita ai “chiattoni” in genere, ma l’avvertimento ai naviganti in apertura è una sorta di pro memoria anche agli osservatori, spesso benevoli sul populismo imperante, a proposito del difficile contesto politico più o meno internazionale, laddove un “Trump sta cuocendo da solo nel fuoco vivo della sua ricerca di gloria televisiva, e con lui sono a bollire i pavidi repubblicani americani”. E poi c’è una Le Pen “che si è dovuta rifugiare a Mosca per avere una photo opportunity, ché alla Trump Tower gli inservienti le hanno soltanto servito un penoso caffè. E infine ecco il nostro “Salvini che, travestito da turista gli viene bene, ha scroccato una fotina da uno che non sapeva nemmeno chi era il capo della Lega”. E Grillo, e i grillini? Ce n’è anche per loro, ma più indirettamente, più nel contesto sorridente e per via del pretesto della loro inalberatura antidelucana, ricordando ai pentastellati che “fortuna, intelligenza, talento, non stanno nel punto vita ma nel giro di testa”. Tiè! Toccati!

Ma non ci illuderemmo tanto, giacché la politica del “vaffanculo”, al tempo stesso la più premiata dai sondaggi e la meno criticata da non pochi mass media, ha per così dire dato un tono in peggio proprio al vuoto della politica; ha cioè contraddistinto con la strategia dell’insulto a gogo i colpi di maglio antisistema, cioè antidemocrazia, che persino Matteo Renzi ha indirettamente contribuito ad arricchire di pagine, sia pure di stampo populista, compresa l’ultima sua esternazione sull’Europa di oggi (peraltro riunita solennemente a Roma e non a vuoto, e figuriamoci se ai bordi di una palude), considerata una realtà, un complesso di nazioni, insomma un continente nel “pantano”. Testualmente. Come se lui non c’entrasse niente con questa Europa che, come sappiamo fin dalla nascita, è composta da persone, uomini, donne, impiegati, politici, governanti e manager non spediti a Bruxelles dal destino cinico e baro. Peraltro, nemmeno il pantano, qualora ci fosse, è piovuto dal cielo. A parte quello della politica. Anzi, della non-politica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55