“Vai avanti Di Pietro!” e “vai avanti Grillo!”

Dalla guerra ai partiti come fonte di ogni male a quella al sistema il passo (non) è breve ma è sotto i nostri occhi. La vicenda del manipulitismo ha avuto nella stessa parola “partito” il bersaglio più diretto e più raggiunto, e pure il meno difeso, “et pour cause”, in modo tale che da allora il termine, non soltanto destinato da oltre un secolo alla libera associazione politica primigenia, si è - per dir così - incarnato nell’autentica disfatta dei suoi rappresentanti, a loro volta rappresentanti-delegati, se del caso eletti, del popolo. Non è ora e qui che vogliamo narrare le tristi imprese di un periodo che risale ormai a un quarto di secolo. Ma si colloca esattamente in questa indicazione temporale il punto di partenza e, diciamolo pure, di arrivo, non soltanto della delegittimazione dei partiti di venticinque anni fa, ma della sua proroga, almeno fino ad oggi. Poi si vedrà.

La delegittimazione, ad opera inizialmente del mitico pool, non era ingiustificata secondo il parere di cronisti, storici e politici medesimi, ché la scoperta della diffusa corruzione, alias dazione ambientale, era, benché tardiva, comunque storicamente inevitabile. Ciò che si poteva e si doveva evitare era la generalizzazione dell’accusa, con relativa condanna, non tanto o soltanto perché questa è sempre individuale-personale ma perché, a “operazione chirurgica” finita, i dati ufficiali mostrarono che dato cento il numero totale dei politici, soltanto il trenta per cento di loro era finito condannato. Intanto, però, i partiti erano, chi più chi meno (vedi il miracolato ex Partito Comunista Italiano) dissolti.

L’operazione anzidetta non sarebbe comunque stata realizzabile nei suoi più larghi orizzonti distruttivi se fosse mancato quel famoso aiutino del coro mediatico, peraltro ammesso da un personaggio al di sopra di ogni sospetto come Paolo Mieli, che cavalcò l’incedere chiodato manipulitesco innalzandovi il suo simbolo, un pubblico ministero, “et pour cause” di nuovo, al grido di “vai avanti Di Pietro!”. Lo chiamarono fin da subito il circo mediatico-giudiziario nel senso più aderente al significato letterale del binomio nella misura e nelle forme con le quali la sinergia dei due moltiplicava al massimo l’operazione e, al tempo stesso, la estendeva ben oltre le responsabilità oggettive assumendo un ruolo a ben vedere politico, sia pure celato dietro la lotta al malaffare partitico. In altre parole, senza quel concorso, quel grido e quell’insegna, l’operazione giudiziaria sarebbe rimasta tale e non, invece, una sorta di cancellazione della formula partitica che non poteva avere che uno sbocco: la morte stessa della politica.

Lasciamo per ora perdere cosa ne sia stato dell’idolatria del simbolo di quella stagione, forse perché ogni leggenda su basi del genere non poteva certo finire sui libri di storia, men che meno di fiabe per bambini, ma, semmai, in qualche brogliaccio tribunalizio. Il fatto è che ben venticinque anni dopo - dato temporale corrispondente grosso modo alla durata del fascismo - i partiti buttati nel cestino, come allora, non si sono più ripresi, non ci sono più, sono una cosa “altra” e per di più peggiore della precedente. Siamo draconiani? Riduttivi? Semplificatori? Può darsi. Ma non siamo così distanti dalla realtà, se è vero come è vero che un altro grido si è alzato, un altro idolo è stato creato, un’altra insegna è stata levata, non dissimile dalla precedente se non per il nome: abbandonato, cacciato Antonio Di Pietro, ora eccoci all’attuale: “Vai avanti Grillo!”.

Il passato che non passa, direbbe qualcuno. Sembra. Sta di fatto che non è passato il tempo del “dagli al politico!”, la stagione della messa nel mirino dei partiti e i loro fantasmi, della strumentalizzazione dei pur gravi, se non peggiori, episodi di corruzione e malaffare dovuti comunque alla mancata riforma dei fu partiti, ma pur sempre indispensabili, i suddetti movimenti politici, alla democrazia e alla sua dialettica: maggioranza, opposizione, governo.

L’assunzione di Beppe Grillo al livello super omnes è qualcosa di ancora più grave di quel “vai avanti Di Pietro!”, proprio per via della radicale modificazione dell’avventura grillina (basta leggere le mediocri banalità sloganistiche di un Luigi Di Maio in palmo di mano del “Corrierone” e dei soliti talk-show). Si è passati dall’iniziale antipolitica pentastellata in nome del tutti ladri, tutti da buttare e tutti fanno schifo (che sono comunque un’insofferenza delle regole, di odio e di disprezzo inammissibile in un sistema democratico) a una manifestazione violenta di puro stampo squadristico come ieri l’altro alla Camera. Una sorta di escalation con un episodio inequivocabilmente simbolico di quella che è diventata, anche per molti osservatori stranieri, un’autentica guerra al sistema democratico. Il nostro, si capisce. Ma l’avranno capito quelli del coro? Una buona dose di scetticismo è d’uopo.

Aggiornato il 03 maggio 2017 alle ore 11:09