Rutte e il significato del voto olandese

venerdì 17 marzo 2017


La vittoria del Partito Liberale di Mark Rutte in Olanda ha un significato più che preciso. Stabilisce che il populismo antieuropeista può essere fermato a condizione di prendere coscienza degli umori reali del Paese e di non chiudersi nella roccaforte ideologica del politicamente corretto che vorrebbe cancellare le identità nazionali ed europee in nome del cosmopolitismo dei privilegiati.

Rutte ha avuto il coraggio di opporsi in maniera netta e decisa alla pretesa di un referendum che trasformerà il premier turco Recep Tayyip Erdoğan in un nuovo sultano. Il leader liberale non ha aperto le porte del proprio Paese all’ingerenza inquietante e intollerante del leader di Ankara, come avrebbero voluto quelli che teorizzano la mescolanza multietnica e multiculturale in nome del buonismo planetario che nasconde gli interessi delle grandi multinazionali. Le ha chiuse in nome del principio liberale e popperiano secondo cui la società aperta si difende escludendo la tolleranza per gli intolleranti. E ha raccolto il consenso di quella maggioranza dei cittadini che senza questa prova di autonomia di giudizio e di autentico liberalismo si sarebbe rivolta verso le formazioni politiche più estremiste.

Dall’Olanda, quindi, viene un insegnamento che vale per il resto dell’Europa. La maggioranza degli europei non chiede guerre di religione e non si fida dei populismi esagitati che nascondono il nulla, ma chiede semplicemente la difesa di quei valori di libertà che fanno parte integrante dell’identità più profonda e sentita del Vecchio Continente.

In questa luce il voto olandese è sicuramente un voto europeista. Nel senso che rispecchia perfettamente il sentimento più profondo delle popolazioni europee teso non a sostenere gli interessi finanziari ammantati dalla melassa ideologica del politicamente corretto, ma a difendere i tratti identitari di un continente che ha elaborato i suoi valori di libertà e di tolleranza in tre millenni di storia diversi da quelle di altre aree geografiche.

La diversità non è un elemento di conflitto, ma un valore da preservare. Perché il dialogo nasce dalle diversità.


di Arturo Diaconale