L’Unione europea: fantasma della libertà

“Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”. È una frase che rende il senso profondo dello spirito di tolleranza. È tanto bella che per decenni si è pensato che l’avesse coniata nientemeno che il grande Voltaire. In realtà non fu lui a pronunciarla ma una sua estimatrice, la scrittrice inglese Evelyn Hall che, nel 1906, nell'opera “The friends of Voltaire” scrisse: “I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it”.

Ora, di chi sia la paternità o maternità dell’espressione, poco importa: è bella, è profonda, è giusta. Generazioni di spiriti liberi e di sinceri democratici si sono nutriti di questo pensiero. Si sono battuti anche pagando alti prezzi personali per sostenerlo. Dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, dopo gli olocausti provocati dalla perversione di senso della natura umana, una luce di speranza aveva indotto uomini nuovi a immaginare un futuro europeo condiviso tra tutti i suoi popoli nello spirito di pace e di tolleranza. Dopo Auschwitz, dopo le fosse di Katyń e le foibe la grande famiglia europea sarebbe stata libera, democratica, tollerante. Invece, accade oggi che il Parlamento europeo, che avrebbe dovuto costituire il più alto presidio dei diritti dell’uomo e del cittadino, si è trasformato in un assurdo luogo di bigotta cecità culturale.

Lo scorso 1 marzo la Commissione Affari Legali di Strasburgo, con un voto favorevole di 18 membri su 21, ha deliberato di revocare l’immunità parlamentare alla deputata Marine Le Pen perché sia processata dalla giustizia del suo Paese per il reato di “pubblicazione di immagini violente”. Secondo l’accusa la Le Pen, nel 2015, avrebbe violato la legge postando sul suo account di Twitter i fotogrammi di tre esecuzioni di ostaggi compiute dai terroristi islamici dell’Is. Non ce ne frega niente se la Le Pen stia sulle scatole ai benpensanti, se con le sue soluzioni shock rischi di prendersi l’Eliseo, per quanto ci riguarda conta il principio: si vuole processare la leader del Front National come se la ferocia degli assassini che è integralismo islamico in atto e la sua denuncia possano stare, dal punto di vista del giudizio etico, sullo stesso piano. Che una pavida corte di servitori del “politicamente corretto” ritenga di assecondare questa follia prevaricatrice della libertà d’espressione di un rappresentante del popolo, abbattendo la guarentigia dell’immunità parlamentare, è il segno dei tempi che viviamo. Tempi bui per la democrazia e per la libertà.

Ma noi comuni mortali cos’è che vogliamo? Un’Europa nella quale non ci si potrà esprimere se non usando il lessico ufficialmente autorizzato dai guardiani del pensiero unico multiculturalista? Con chi stiamo? Con i giudici che, in Olanda, condannano Geert Wilders, capo del Partito per la Libertà (Pvv), per incitamento alla discriminazione per aver detto dal palco di un comizio: “Volete meno marocchini in Olanda?”. Stiamo con il Tribunale civile di Milano, che ha condannato la Lega a 10mila euro di danni per aver diffuso nella città di Saronno lo scorso anno manifesti nei quali ci si riferiva agli immigrati definendoli “clandestini”? Stiamo con il Gip che ha rinviato a giudizio Maurizio Belpietro per quel titolo corsaro apparso su “Libero” del 13 novembre del 2015: “Bastardi islamici”, a commento della strage compiuta dai soldati dell’Is al Bataclan di Parigi?

Ci sono molti modi di servire la causa della libertà, ma quello dei timorosi inchini offerti dai multiculturalisti alla violenza conquistatrice dei nemici della nostra civiltà è il modo sbagliato. Il voto contro la Le Pen non è definitivo: occorre che sia il Parlamento riunito in seduta plenaria a decidere. Vogliamo sperare che nel più alto consesso venga emendata la scriteriata decisione presa dalla Commissione. È in gioco molto più del diritto del singolo deputato di pubblicare ciò che crede: è in ballo un fondamentale diritto di libertà. È in ballo una visione d’Europa che non può essere quella dei tempi delle tirannidi, delle censure, delle scomuniche e delle abiure. Quella storia l’abbiamo lasciata alle spalle, oggi il nostro tempo è diverso. E anche le beghine multiculturaliste spedite a Bruxelles e a Strasburgo dovrebbero comprenderlo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56