1977: l’anno simbolo diventa un ciclo di Iris

C’è un antico proverbio siciliano, ricordato spesso dal grandissimo Leonardo Sciascia, riferito a una vecchina che legge fiabe e commenta fra sé e sé: “Il racconto è lo stesso. Tutto sta come porta”. Per dire che, fiabe o cronaca o storia, sempre lì stiamo: come le si raccontano nei libri, in tivù, su Facebook, nei documentari e, ovviamente, al cinema. Magari in appositi contenitori chiamati cicli. Facile, pontificava un giorno un addetto alla comunicazione-spettacolo in televisione; facile, troppo facile, raccontare, rappresentare, la storia con dei film, basta mettere in piedi un ciclo con presentazioni ad hoc e il gioco è fatto. Diciamolo: facile a dirsi, molto meno a farsi, come commentava la vecchia ma sempre lucida siciliana. Riuscire, ad esempio, a concentrare in una quindicina di film, con qualche documentario del tempo (1977), il suo (del 1977) significato, senso politico, simbologia culturale, insegnamenti storici e, al tempo stesso, connotazioni spettacolari e anche esemplari, quali solo il cinema riesce a comporre, torna a grande merito di Iris, la rete Mediaset - per così dire - specializzata, o meglio, dedicata al cinema.

Iris, che con il suo 1,71 per cento di premio per panoramiche ora ostiche, Shakespeare; ora drammatiche, Pasolini; ora allegre, l’Albertone nazionale; può ben iscriversi nel ciclo suo proprio delle “piccole reti crescono”. Certo, la storytelling di un tempo terribile e complesso come i nostrani anni Settanta (nel 1977 finisce “Carosello”, le Brigate rosse e Prima Linea sparano e uccidono, ma intanto Hollywood produce “Guerre stellari” e “La febbre del sabato sera”) non si esaurisce in un una qualsiasi panoramica di rete, tanto più se - come dice Marco Costa, direttore di Iris - la lettura di quegli anni sia a senso unico, unidirezionale senza diversità di film, senza botta e risposta e senza l’implicita multicolorità e multitonalità delle atmosfere di allora.

Cosicché, dall’11 al 15 marzo, in prima, seconda e terza serata, sarà possibile divertirsi, capire e confrontarsi coll’ormai classico e premiatissimo film di Elio Petri “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” che, fra l’altro, e non solo secondo “Il Manifesto” e “Lotta continua” adombra, con una mirabile interpretazione di Gian Maria Volonté, la figura del povero commissario Calabresi; ma anche con la non meno “petriana”: “La classe operaia va in paradiso”, sempre con Volonté e una Mariangela Melato in forma smagliante, almeno come quando cantava e ballava a “Canzonissima” proprio in quegli anni. Ci fermeremmo qui nell’elenco filmico se non ci richiamassero al dovere due piccole perle come “Bianca” di Nanni Moretti e “Maledetti vi amerò” di Marco Tullio Giordana; dove, nel primo la “Nutella” consumistica fa innamorare del suo enorme barattolo un Moretti-Professor Apicella nudo come un verme, e nel secondo l’ottimo Flavio Bucci, reduce dal Sessantotto nell’Italia del 1980, assiste rassegnato e spaesato allo spegnimento degli antichi entusiasmi in un Paese cambiato.

Questa rassegna dal titolo “Black Out” (1977-2017) non poteva non giovarsi dell’apporto di documentari non meno significativi e istruttivi, almeno per chi non c’era ancora o non ricorda, come il “Festival del proletariato giovanile al Parco Lambro” del 1976, organizzato dalla rivista “Re nudo” e “Pagherete caro, pagherete tutto” con sullo sfondo l’immagine del giovane incappucciato con la pistola in pugno in via De Amicis a Milano dove fu ucciso il poliziotto Antonio Custra, una sorta di icona tragica di una scia di sangue troppo duratura, basti pensare, fra i giornalisti più noti, all’uccisione di Carlo Casalegno e alla gambizzazione di Indro Montanelli.

Perché il 1977 come data simbolo, anno indimenticabile e dunque degno di essere un vero e proprio spartiacque storico? Di grande interesse le parole di un giornalista come Paolo Liguori che è stato molto più di un testimone, e non solo di quel 1977 nel quale il partito delle armi e del terrorismo spacca il movimento di sinistra al punto che si registra una delle sconfitte più cocenti e irreversibili di un Partito Comunista Italiano che, fra le altre, aveva avuto la brillante idea-sfida della visita di Luciano Lama all’Università Romana, finita in una non nobile fuga, con seguito di satire impietose tipo “Lama o non l’ama?”. Allo stesso modo uno dei nostri più capaci inviati come Toni Capuozzo ha sintetizzato “politicamente” quell’anno come punto terminale della leggendaria centralità della classe operaia. Tanto più che, proprio nel giugno di quell’anno e in pieno governo delle astensioni - Pci compreso - si riunivano i partiti dell’arco costituzionale con una bozza di documento, fortemente voluto da Aldo Moro e un po’ meno da Enrico Berlinguer, che sarà trasformato in una mozione poi approvata alla Camera e al Senato. Qualche mese dopo, il 16 marzo del 1978, Aldo Moro viene assassinato dalle Brigate rosse.

Certo, non con soli film e documentari si può far rivivere una data quant’altre mai indimenticabile. Nel libro di Lucia Annunziata “1977”, per l’appunto, la “cronaca dell’anno è un lugubre bollettino di scontri, il rapido dissolversi delle ultime illusioni rivoluzionarie dentro l’acido muriatico del rancore e degli odi... L’ultima volta che la sinistra tutta, dal Pci a quella radicale, si ritroverà insieme, come in un ultimo ritratto di famiglia. Prima di implodere davanti alla forza delle armi”. Ah, già, le implosioni. Quarant’anni dopo, il rischio dell’implosione ritorna. Davanti a un’altra forza. Quella dei Pm. Pensate che ciclo ne verrebbe fuori. Forza Iris!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55