Siamo all’ultimo atto della crisi del renzismo

Del governo di Massimo D’Alema si disse ironicamente che si era trattato dell’unica banca d’affari dove non si parlava l’inglese. Di quello di Matteo Renzi si incomincia a sospettare che sia stato l’unica banca d’affari dove si è parlato per tre anni di seguito un inglese maccheronico con cadenza fiorentina.

Il caso Consip provoca nell’immaginario collettivo la sensazione che il triennio renziano a Palazzo Chigi e al comando esclusivo del Paese non sia stato una occasione di rinnovamento mancata solo per qualche errore d’ingenuità sulla riforma costituzionale, ma l’ultimo esempio della crisi irreversibile dell’unico partito che era sfuggito alla ghigliottina giudiziaria di “Mani pulite”. Nell’opinione pubblica del Paese, in sostanza, si va consolidando la sensazione che il renzismo non sia stato una novità carica di speranze naufragata temporaneamente per un qualche incidente di percorso, ma la riprova ultima e definitiva della necessità di procedere alla rottamazione di un sistema marcio fino alle midolla.

Questa sensazione pesa sul prossimo congresso del Partito Democratico e diventa un macigno gigantesco sulla strada che Matteo Renzi deve percorrere per tornare alla segreteria del Pd e sperare di poter rientrare a Palazzo Chigi da “uomo solo al comando”. Il rischio che i capi corrente oggi a lui vicini lo abbandonino al suo destino costringendolo a fare la fine di Enrico Letta e uscire per un tempo indefinito dalla scena politica, è altissimo. Scendere dal carro del perdente è una pratica fin troppo conosciuta nel nostro Paese. Ed è facile immaginare come da adesso in poi il cammino verso il congresso del Pd non sarà segnato dalla marcia trionfale di Renzi verso la rielezione, ma dal suo disperato tentativo di tenere stretti sul proprio carro quelli che pensano alla propria salvezza personale e tentano di scendere.

Gli effetti di questa vicenda sono la quasi certezza che si andrà a votare alla scadenza naturale della legislatura e il rafforzamento delle forze antisistema che si collocano alle ali estreme del panorama politico nazionale. Il terzo effetto dovrebbe essere quello di una chiamata alle armi di tutte quelle forze più responsabili che si rendono conto del pericolo che il vuoto provocato dalla crisi del Pd possa essere colmato dai dilettanti avventuristi del Movimento Cinque Stelle. Ma al momento di questo terzo effetto non si vede neppure l’ombra. Ciò espone il Paese al pericolo di passare dal renzismo al grillismo, dal dramma alla farsa disastrosa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:57