Politica, antipolitica, anticasta e la Rai

Due antitesi possono contribuire ad una tesi? Due posizioni tematiche su opposte questioni (Rai, vitalizi) riescono a completare un quadro critico comune? Può la politica, infine, riscattarsi dall’antipolitica sfruttandone gli anfratti contraddittori? Parliamo subito della questione Rai offerta dalla decisione del suo Consiglio di amministrazione di porre un tetto agli stipendi richiamando così l’esigenza non soltanto di un risparmio per il servizio pubblico radiotelevisivo ma di un non impossibile nuovo ragionamento generale sullo stesso. Giovanni Minoli, che della Rai e della tv se ne intende, ha ribadito a chiare lettere il suo voto più che favorevole alla suddetta limitazione (o tetto) salutandola addirittura come una neo riforma e aggiungendo che ben difficilmente il governo modificherà, col ripristino di un certo status quo ante, per tema di opposizioni popolari, anche se su questo “dettaglio” è lecito nutrire qualche pessimismo. Chi vivrà vedrà. Certo è che la posizione di Minoli appare abbastanza solitaria nel panorama generale dei “personaggi” televisivi, a cominciare dal direttore generale Antonio Campo Dall’Orto che ne paventa la sottrazione da parte della concorrenza.

Può darsi, ma la riflessione minoliana, come la nostra del resto, parte anche dal presupposto che il mercato televisivo è cambiato in profondità - non soltanto con l’avvento di Internet - al punto che un tetto Rai come quello deciso, non potrà non favorire la nascita e la crescita e il successo di nuovi “incomers”, di giovani talenti, di promesse destinate a un futuro migliore di quello di oggi. E chi accusa di “populismo” la decisione del Consiglio di amministrazione della Rai non riesce, anzi, non vuole capire la differenza formale ma innanzitutto sostanziale fra i termini popolare e populista, giacché la serietà e l’appropriatezza del primo è travolta dal populismo, che è, al contrario, un’ondata di piena non soltanto grazie a Beppe Grillo, Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Matteo Salvini e a un certo Matteo Renzi ma anche, e soprattutto, alla sua dilatazione in video per via della tracimazione dei talk show, veri e propri format della parola d’ordine al servizio del populismo: l’anti casta, e dunque, anti vitalizio.

Parlavamo di contraddizioni da sfruttare da parte della politica, se ce n’è ancora. La più visibile sta nello stesso servizio pubblico laddove il cittadino abbonato ma non benestante è - per dir così - costretto a dover pagare una quota, ancorché minima, a stipendi e ingaggi ultramilionari, se vuole continuare a guardare i programmi Rai, nei quali, tra l’altro, è frequentissimo imbattersi, da una domenica all’altra, nel populismo trionfante. Una contraddizione minore, lo sappiamo, rispetto alla scelta di una Rai che segue - per così dire - l’onda modaiola, un servizio pubblico dovrebbe navigare nel mare del “bene” comune, semmai domando le onde, contribuendo fortemente alla letterale esplosione dei talk, che, nelle tv nazionali, sono diventati ben venticinque, con millecentottantotto puntate che equivalgono a una media di duecentottantanove trasmissioni al mese, circa dieci al giorno. E, attenzione, sono dati ufficiali dal settembre al novembre del 2013, ed è facile desumere che il rispettivo numero si sia bene ingrossato, se è vero come è vero che anche nel 2010, soltanto in Rai, Canale 5 e Rete 4, le puntate dei talk-show politici sono state duemilasettecentocinquantotto, mentre nel 1980 erano centosessantadue.

Qualcuno parla di voluttà di egemonia da parte dei novelli conduttori unici delle coscienze tramite il format unico in funzione anti casta. E non ci siamo lontani, basta vedere la tv italiana dove prevale la mitica “voce della piazza”, la rappresentazione di uno psicodramma collettivo con le isterie della (non) politica italiana, un sorta “di un unico, mastodontico reality che mette in scena proiezioni, desideri, indignazioni, scissioni” (A. Muniz). Ed è persino ovvio che l’urlo anti vitalizio, il grido di oggi che esce dalla gola grillina, stia diffondendo nella pubblica opinione non l’impressione ma l’idea, la convinzione, che i nostri deputati e senatori stiano in Parlamento a scaldare le poltrone, a non lavorare e a gironzolare per Camera e Senato, il tutto a spese del (povero) cittadino. E vorreste dar loro anche la pensione, o vitalizio che dir si voglia? Tesi, antitesi, politica, tivù. Il quadro è questo. Peggiorerà.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55