Scissione irreversibile anche in caso di reversibilità

Le scissioni sono sempre seguite da faide personali e da contrasti talmente profondi da rendere praticamente impossibile qualsiasi ipotesi di ricompattamento e riunificazione. Ma quella che si è verificata nel Partito Democratico è una scissione talmente singolare che non è esclusa l’ipotesi di assistere a una bizzarra forma di ricongiunzione in un tempo estremamente breve.

Quando Michele Emiliano invita gli scissionisti a votare in suoi favore alle prossime primarie di fine aprile e quando Massimo D’Alema sostiene che se Andrea Orlando riuscisse a battere Matteo Renzi e a diventare segretario del partito la scissione verrebbe cancellata, entrambi indicano la causa principale della spaccatura del Pd e l’unica soluzione per poterla superare. Questa causa si chiama Matteo Renzi e l’unica strada che può portare alla sua risoluzione è quella che passa attraverso la sua mancata rielezione a segretario.

Chi parla di una frattura che nasce dal fallimento della fusione tra post-comunisti e post-democristiani di sinistra, nata dal maggioritario e saltata con il ritorno del proporzionale, ha sicuramente ragione. Ma solo in parte. Perché se è vero che gli scissionisti sono quasi tutti post-comunisti, è ancora più vero che Renzi e i renziani hanno in comune con i post-democristiani solo la smodata tendenza all’occupazione del potere. Il motivo più profondo della spaccatura è l’incompatibilità umana, personale, addirittura antropologica esistente tra Renzi e i suoi antipatizzanti.

Sulla base di questa considerazione, allora, non è affatto difficile prevedere quanto potrà avvenire in occasione delle primarie di fine aprile. Gli scissionisti del Pd, che ovviamente non hanno riconsegnato la tessera del partito e che se anche lo avessero fatto non avrebbero alcuna difficoltà a partecipare alla consultazione, parteciperanno in massa al rito previsto per la nuova incoronazione a segretario di Renzi e voteranno per l’avversario dell’ex premier a loro più vicino umanamente e antropologicamente. Cioè scarteranno Emiliano, che ai loro occhi è un alieno quanto Renzi e per di più è inaffidabile come un magistrato levantino e punteranno su Orlando, che è un apparitik di sicuro affidamento.

Nessuno, ovviamente, può prevedere l’esito dello scontro tra Renzi, i renziani e Orlando sostenuto dagli scissionisti. Ma se mai dovesse accadere l’imprevedibile e si arrivasse all’elezione dell’attuale ministro della Giustizia, è certo che a quel punto la scissione del partito ricomposto la farebbe Renzi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:57