Fine dell’irreversibilità del potere della sinistra

Nei Paesi dell’Est occupati dall’Armata Rossa nel secondo dopoguerra i comunisti al potere ebbero l’accortezza di mantenere in vita un Partito dei Contadini, ovviamente pienamente allineato al governo, per dimostrare la natura democratica del regime. Nel Partito Democratico di Matteo Renzi a recitare la parte del Partito dei Contadini e quella dell’opposizione di sua maestà ci penseranno Michele Emiliano, Gianni Cuperlo e Andrea Orlando. Il Governatore pugliese si dice convinto di essere in grado di contendere all’ex Presidente del Consiglio la segreteria in occasione delle prossime primarie. Ma nessuno prende in seria considerazione questa ipotesi e tutti danno per scontato che per restare nel partito e svolgere il ruolo di oppositore di comodo, il magistrato in lunga aspettativa abbia concordato con il segretario in via di nuova incoronazione un numero ridotto ma congruo di capilista bloccati nelle prossime liste elettorali.

La faccenda, però, va derubricata a fatto di colore e non di sostanza. Perché il dato politico della scissione del Pd e della scissione degli scissionisti esula le vicende personali dei protagonisti, anche dello stesso Matteo Renzi. E assume un’importanza decisamente maggiore in quanto destinata a segnare il passaggio dal sistema incentrato sulla centralità della sinistra a un sistema in cui la sinistra non potrà più essere, da sola, il perno della vita pubblica italiana.

È dal 1963, anno del primo centrosinistra, che l’area cosiddetta progressista svolge una funzione essenziale per la stabilità del quadro politico nazionale. Aldo Moro, successivamente, diede una sorta di veste istituzionale al ruolo della sinistra prima definendo “irreversibile” il centrosinistra formato dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Socialista Italiano e poi allargò questa irreversibilità ipotizzando l’allargamento dell’area del potere anche all’altra parte della sinistra rappresentata dal Partito Comunista Italiano. È da quell’epoca che l’area progressista fa da pilone portante della vita nazionale. Ha svolto questo ruolo nella Prima Repubblica e lo ha conservato anche nella Seconda Repubblica dell’alternanza, perché neppure il centrodestra al governo ha mai tentato seriamente di intaccare il ruolo centrale ed egemonico conquistato nel secondo dopoguerra da una sinistra centro e motore del sistema burocratico-assistenziale del Paese.

Con la rottura del Pd e il ritorno del proporzionale questa lunghissima fase storica finisce. Matteo Renzi tornerà ad essere il padrone assoluto del Partito Democratico ma non potrà mai tornare ad essere il dominus esclusivo della vita nazionale. Si apre una nuova fase per la politica italiana. Che rende obsoleti i cosiddetti nuovisti rottamatori e spiana la strada a un nuovo tutto ancora da definire.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:57