Un’oligarchia temperata dal voto

Per più di trent’anni non ho mai dovuto cambiare la mia definizione dell’Italia come “democrazia illiberale”. Però dopo due lustri e tre elezioni, cioè dal 2006, l’aggettivo qualificativo rimane valido, mentre il sostantivo è diventato inappropriato. Infatti, a causa del Porcellum, il sistema politico è piuttosto “un’oligarchia temperata dal voto”. L’oligarchia è bensì il governo dei pochi, ma pure il governo autolegittimato.

Visto che il nostro è un governo parlamentare e che la rappresentanza parlamentare si autonomina, facendosi ratificare la scelta da un voto elettorale, il sistema costituisce un’oligarchia basata su se stessa, sebbene non del tutto autocratica e, tuttavia, pseudo democratica. I cittadini e, gravissimo, gli elettori hanno dimenticato di aver votato mediante schede sulle quali erano stampati tanti simboli alla stregua dei bollini sulle tessere per gli sconti o sugli album di figurine. Niente nomi di persone! Eppure la democrazia rappresentativa significa che il popolo elegge (eligere = scegliere) i suoi rappresentanti. I sistemi elettorali sono coessenziali alla democrazia perché l’elezione funziona come un demoltiplicatore: istituisce un rapporto che riduce gli elettori agli eletti. Il votare non basta a soddisfare i requisiti minimi di una democrazia. Il ventaglio delle modalità di voto è storicamente così ampio che bisogna distinguere bene tra modi reali e virtuali. I modi reali, a loro volta, si distinguono in leali e truffaldini. Esiste in giro una tale pletora di esperti di sistemi elettorali che diffidarne costituisce un dovere civico, oltre che una misura indispensabile per scampare ai loro trucchi. Costoro si trincerano dietro il fumo delle “tecnicalità”, come le chiamano, per abbindolare il popolo bue e tenerlo lontano dai loro arcani.

Gli escogitatori del fangoso Porcellum e del repellente Italicum (approvato, non provato, cestinato!), che hanno immobilizzato il popolo ai ceppi dell’oligarchia, sono stati sbugiardati dalla giustizia costituzionale. La Consulta, mutilando con le sentenze il Porcellum e l’Italicum, non ha cancellato del tutto i connotati oligarchici, che permangono con le candidature multiple dei capilista nei collegi elettorali così delineati, per effetto delle quali i capilista dei partiti che superano la soglia di sbarramento sono automaticamente eletti, a prescidere dalle preferenze (un contentino!) conquistate dall’eventuale “secondo” eletto. La Corte costituzionale non ha voluto cancellare questo meccanismo che artificiosamente consente all’attuale nomenclatura parlamentare e partitica di autoperpetuarsi conculcando la libertà di scelta degli elettori, impediti dall’esercitare in pieno la facoltà di eleggere le persone gradite. E infatti solo i parlamentari che temono di non poterne beneficiare o di restarne vittime invocano l’abolizione dei capilista bloccati e la fine del “Parlamento dei nominati”. Circa 2/3 dei deputati, restando le norme elettorali uscite dal “taglia e cuci” della Consulta, saranno selezionati (eletti!) dai capi partito con il potere di firma sulla presentazione delle candidature.

L’avallo del popolo nell’urna mitiga, certo, la distorsione antidemocratica del meccanismo elettorale ma non riesce ad eliminare l’intrinseca natura oligarchica dell’ordine parlamentare e politico risultante. Le liste concorrenti, non gli uomini singoli, si contendono i collegi. Invece, solo il collegio uninominale, meglio se a doppio turno con ballottaggio tra i primi tre, riesce a massimizzare rappresentatività e governabilità con libertà di scelta, istituendo un sistema rappresentativo trasparente e leale, rispettoso degli elettori e degli eletti, e quindi una democrazia la cui sostanza corrisponda ragionevolmente al nome.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55