Il suicidio politico della minoranza dem

In merito a ciò che sta accadendo dentro il Partito democratico, debbo premettere che le diatribe interne ai partiti politici non mi hanno mai particolarmente appassionato, malgrado una visione laica data dall’esperienza non mi consente di aderire al folto gruppo degli indignati speciali che, da bravi farisei, si scandalizzano per un dibattito che disvela ovvi e legittimi interessi personali anziché mettere in primo piano quelli del popolo. Da questo punto di vista risulta sempre molto attuale il famoso aforisma del socialista Rino Formica, il quale definì “sangue e merda” l’intima sostanza della politica.

Ma al di là di qualunque analisi filosofica su questa complessa sfera dell’agire umano, sono rimasto piuttosto sbalordito dal vero e proprio suicidio politico inscenato dalla minoranza del Pd, sebbene quest’ultima annoverasse al suo interno personaggi di un certo spessore. Suicidio politico che, a mio avviso, si è rapidamente consumato durante l’Assemblea nazionale di Roma. Privi di una leadership, di una linea politica appena abbozzata, di un minimo di unità d’intenti al di fuori dell’evidente collante anti-renziano e, cosa molto grave, senza aver predisposto le basi di una eventuale scissione (leader, nome del nuovo partito e programma di massima) i cani sciolti dell’opposizione interna hanno fatto la figura del più sprovveduto pokerista, realizzando un bluff a dir poco ridicolo. Volevano far credere al loro scaltro avversario di avere in mano una scala reale, mentre invece potevano contare su una semplice coppia di due. A questo punto per Matteo Renzi è stato un gioco da ragazzi andare a vedere, sempre usando una terminologia pokeristica, tirando dritto come un treno sul congresso, inizialmente richiesto a gran voce dalla stessa minoranza ma poi divenuto oggetto da parte di quest’ultima di un amletico gioco al massacro. Dopo aver ridicolizzato quei gran cervelloni che gli chiedevano addirittura di non ricandidarsi alla guida del Pd - tra cui l’ondivago e molto confuso Michele Emiliano e il giovane irriducibile Roberto Speranza - l’ex premier non ha ovviamente offerto alcuna sponda a chi lo voleva annullare politicamente.

A questo punto, dopo la Caporetto del 19 febbraio, alle truppe sparse della minoranza Dem non rimangono molte opportunità: o rientrano a testa china nei ranghi nel partito con tutte le prevedibili conseguenze del caso, od organizzano molto rapidamente una vera scissione. Tuttavia, sempreché costoro riescano in tempi strettissimi a mettersi d’accordo su un leader, un simbolo politico e un programma, sotto questo profilo il loro destino sembra segnato. Infatti con l’inevitabile posizionamento a sinistra del Pd, essi andrebbero ad occupare una area di consenso già ampiamente affollata di partitini, finendo inevitabilmente nella zona irrilevante del cosiddetto voto inutile. Un ben triste destino per chi solo pochi anni addietro era al vertice del più grande partito italiano. Non a caso in questi giorni si paga di scissione triste.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55