Cosa si rischia ad ascoltare Renzi

Sull’Italia si è abbattuta la scure della verità che fa piazza pulita delle favole raccontate da Matteo Renzi agli italiani. Il Paese non cresce. A certificarlo è la Commissione europea. La presentazione del report sulle “Previsioni economiche d’inverno”, tenuta dal Commissario agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici, ieri l’altro a Bruxelles è stata un pugno allo stomaco: siamo gli ultimi in Europa per ripresa economica. Il Pil del 2016 si è fermato a uno striminzito +0,9 per cento e la previsione per il 2017 non è migliore.

Tutti nel resto dell’Unione fanno meglio di noi, compreso la bistrattata Grecia. Sale invece al 2,4 per cento il rapporto Deficit-Pil mentre quello Debito-Pil, anziché ridursi, quest’anno si attesterà al 133,3 per cento. Il tasso di disoccupazione è all’11,7 per cento, ben al di sopra delle stime effettuate all’inizio dello scorso anno. Per dirla in soldoni, la fotografia scattata dai contabili di Bruxelles restituisce l’immagine di un Paese sostanzialmente fermo.

Se questo è il quadro, c’è da prendersela con il pittore e non con il pennello. Vogliamo dire che la ragione del flop sta tutta nel perimetro della politica. D’altro canto le sconfitte non si producono per partenogenesi, ma hanno sempre una paternità identificabile. In questo caso si chiama Renzi. I suoi tre anni a Palazzo Chigi sono stati mille giorni di provvedimenti sbagliati e di occasioni mancate. Le risorse pubbliche disponibili (poche) sono state concentrate sui capitoli di spesa che avrebbero dovuto portare acqua alla propaganda personale dell’ex Premier e del suo partito ma non alle tasche del sistema-Paese. Le riforme strutturali poi sono state il fallimento che conosciamo, che è superfluo tornarci su.

Ora, in uno schema democratico sano il responsabile della sconfitta pagata da tutta la comunità nazionale dovrebbe prendere atto dell’inadeguatezza della sua proposta politica e farsi da parte. Invece, a cosa assistiamo? Al teatrino della ridiscesa in campo del giovanotto a due mesi dalla batosta referendaria. La sua avrebbe dovuto essere una lunga pausa di riflessione per comprendere le regioni della sconfitta, invece si è risolta in un’intramuscolo. È tornato per lanciare un congresso lampo del suo partito che dovrà servire a regolare i conti con i suoi, peraltro patetici, oppositori interni. Dopodiché, via per una lunga campagna elettorale che terrà il Paese paralizzato non si sa per quanto tempo. Non è normale che vada così. Non è onesto verso gli italiani che non se la passano bene.

Ma pensate che a Renzi e ai suoi freghi qualcosa dell’Italia? Il bene comune è solo uno slogan propagandistico, la foglia di fico dietro la quale infilare ambizioni personali e interessi di potere di lobby amiche e di gruppi di pressione generosi nell’aprire il portafoglio. Ascoltare l’intervento del segretario del Pd alla direzione del partito di ieri l’altro è stata roba da far gelare il sangue nelle vene. Renzi ha detto con la freddezza di un killer: non mi interessa stabilire la data del voto delle politiche, se ne occuperanno gli addetti ai lavori. Tradotto: non è importante quando gli italiani potranno scegliersi da chi farsi governare, quello che conta è che io, Matteo Renzi, abbia il tempo d’imbastire un altro storytelling da spacciare come azione politica in divenire. Se gli dovesse riuscire d’imporre il timing di fine legislatura vorrà dire che il Paese resterà bloccato per mesi con il Governo Gentiloni praticamente ridotto al disbrigo dell’ordinaria amministrazione in un tempo in cui tutto sta cambiando a una velocità impressionante.

Renzi ci tiene bloccati al canapo del Palio di Siena mentre i cavalli della globalizzazione e quelli dei populismi suoi avversari sono già lontani all’orizzonte. Quando si potrà riprendere il cammino verso una nuova fase della storia la realtà sarà infinitamente avanti e sarà arduo starle dietro. Se questo significa fare l’interesse del Paese si tratta di un modo assai bizzarro di volergli bene.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56