A.A.A. - Cercasi idea dell’Italia

La vertenza interna al Partito Democratico sul tema del congresso e variabili, tipo primarie ed elezioni più o meno anticipate, trae origini dalla sconfitta renziana referendaria, ma solo in seconda battuta. Non vogliamo ricorrere al solito adagio che i problemi del Pd vengono da lontano, ma siamo nei dintorni, come ricorda lucidamente un Cirino Pomicino in uno dei tanti, troppi, dibattiti televisivi nei quali prevale spesso il gusto della rissa da video grazie anche, e soprattutto, all’avvento sulla scena del grillismo contagioso. I problemi piddini, e a maggior ragione di Matteo Renzi, sono impliciti e direi quasi storici nella struttura ambivalente di quel partito, sommatoria di due “culture” politiche, la comunista e la cattolica, mai amalgamatesi ideologicamente, anche e soprattutto perché l’ex Partito Comunista Italiano, grazie al repulisti di “Mani Pulite” da cui fu esonerato, ha rinunciato a qualsiasi autocritica per tuffarsi nell’acque del socialismo democratico, che, invece, hanno non solo rifiutato ma contribuito a prosciugare, sopravvivendo, loro e solo loro, alla devastazione giudiziaria altrui recuperando parte della vecchia Democrazia Cristiana. Coi risultati che ben vediamo. Ben vi sta, verrebbe voglia di rinfacciargli. E arrangiatevi col congresso sì, congresso no, scissione sì, scissione no e - ovviamente - Renzi sì, Renzi no; fatti vostri! Invece sono, ahimè, fatti che riguardano non soltanto gli altri partiti, ma essenzialmente noi italiani.

Questa disattenzione al Paese preferita alla lotta intestina più o meno congressuale la dice lunga sulla crisi vera del Pd, che dal rifiuto all’approdo socialdemocratico ha messo in piedi una strana creatura politica cui è mancata fin da subito, e ancora oggi a maggior ragione, una sola cosa: un’idea dell’Italia. Che poi questa mancanza si rispecchi anche nella concorrenza di Forza Italia, cioè berlusconiana, sarebbe in un certo senso normale, ché la crisi della politica italiana sta appunto in questo suo riflettersi reciproco. Che attribuisce comunque a chi sta al governo maggiori e più serie responsabilità. Perché il dibattito interno al Pd, riguardando soprattutto la sconfitta referendaria, sta diventando una vera e propria resa dei conti con minacce di scissioni a sinistra, sulla cui entità elettorale saremmo meno ottimisti di chi l’ha adombrata sapendo che da un simile evento deriverebbe innanzitutto una fatale debolezza per un partito che anela alla guida del Paese con, addirittura, un quaranta per cento: che se lo può fin da subito scordare. E con una probabilissima vittoria di Beppe Grillo dalla quale, osservando le strabilianti vicende romane, risulterebbero nuove macerie, sia politiche che economiche, ben oltre la Capitale.

Basti pensare che il grillismo non vive e cresce di luce propria, di programmi, di proposte degne di questo nome, ma solo di protesta demagogica e populista sfruttando e rinfacciando gli errori degli altri - tacendo sui propri - sullo sfondo del malcontento diffuso. Non a caso il Luigi Di Maio-pensiero esige elezioni subito, non offrendo peraltro nessuna alternativa minimamente credibile e sfruttando il qualunquismo dilagante, accusando, a mo’ di esempio, tutti gli altri in Parlamento, in primo luogo i democrats, di voler rinviare le elezioni allo scopo primario di non perdere lo stipendio da onorevole. Basterebbe replicare che un parlamentare guadagna in un anno ciò che il presentatore del Festival di Sanremo ha percepito in un giorno, ma tant’è.

Il punto dolente, tuttavia, sta nell’assenza di una consapevole riflessione, in primis da parte di Renzi, sulle ragioni di una sconfitta tanto più seria quanto più appaiono marginali se non risibili le voglie matte di elezioni anticipate a giugno o in ottobre, o le ambizioni sbagliate di questo o quello in un redde rationem puramente interno, arcaico, superato e che lascia indifferenti gli italiani. Proprio perché non vi è traccia evidente di una proposta politica degna di questo nome, a partire da una confessione pubblica degli errori renziani per approdare a un ragionamento profondo sulle prospettive dell’Italia e del Paese, a una riflessione autentica sulla questione economica, e infine a un’offerta politica e programmatica convincente, moderna, di largo respiro. Manca, insomma, un’idea dell’Italia. Ma, si dice, manca anche agli altri, e dunque: mal comune mezzo gaudio. Gaudio?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56