Raggi: rivoluzione da commedia italiana

sabato 4 febbraio 2017


Diciamoci la verità: in questa vicenda romana - da Virginia Raggi a Salvatore Romeo a Raffaele Marra - manca soltanto Alberto Sordi. Sì, il più grande degli emblemi della commedia all’italiana e certamente il più indicato a rappresentare il film che va in onda nella Capitale da quando ha vinto la leggendaria rivoluzione di Beppe Grillo. Qualcuno (Mattia Feltri) l’ha definita come quella “rivoluzione dell’onestà tra cassonetti e assessori in fuga... simile a un disastro di caratura puramente umoristica”. Laddove l’aggettivazione rimanda, più o meno metaforicamente, all’unica rivoluzione che il cinema italiano è stato capace di realizzare, ovverosia la commedia all’italiana. Ma, attenzione, la nostrana commedia cinematografica sussume qualsiasi empito rivoluzionario apparso nel Neorealismo, lo oltrepassa metabolizzandolo e raggiungendo, a modo suo, risultati politici, sociali, sociologici e storici che nessuna rivoluzione, almeno da noi, sarebbe stata in grado di conquistare.

Sordi e Roma, nel caso della storytelling avviata dalla Raggi e giunta a questa puntata che s’iscrive d’autorità nel contesto di quella metabolizzazione che il nostro cinema e i suoi registi, attori e sceneggiatori sono stati capaci di mettere in scena ponendo al centro non tanto o soltanto la Capitale ma il suo simbolo più riuscito e, ovviamente, gradito per l’eccezionale levatura artistica (Sordi rimarrà per sempre un’icona insuperabile) ma, soprattutto, per l’incarnazione che in tale icona si raggruma, si espande e si coniuga infine con l’intera nazione. La nostra storica incapacità a compiere rivoluzioni si è così trasposta nel suo opposto, in un terreno quasi improprio, in quello della commedia che arricchendosi via via di apporti fondamentali come Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi ha costituito un unicum nel panorama della critica politica.

In un certo senso siamo dalle parti dell’immortale “ridendo castigat mores”, ma ciò che più rende ghiotta la sceneggiata raggiana è la similitudine, la comparazione, le impressionanti analogie fra il significato più profondo di quel cinema e il senso degli accadimenti di oggi. Che conferma, dunque, come e qualmente la stessa rivoluzione “ab imis” posta sulle insegne vincitrici di un movimento incarnato da Grillo in Italia e dalla Raggi in Campidoglio, si è tradotta in meno di otto nel suo rovescio. Non tanto o soltanto nell’immobilismo di una giunta che avrebbe dovuto - e anche potuto - cambiare un senso di marcia, non solo nelle appendici giudiziarie che non ci interessano più di tanto, ma - soprattutto - nella carnevalata di protagonisti grandi e piccini parodianti quel capolavoro monicelliano che si chiama “L’armata Brancaleone”. Per non dire de “I mostri” con Gassman e Tognazzi in cui l’articolazione degli episodi sembra come ispirare quelli nuovi oggi in scena, senza ovviamente tralasciare i tratti ineguagliabili del Sordi in “Un americano a Roma” col suo immortale Nando Mericoni la cui battuta davanti a un piatto di pastasciutta: “Maccarone, m’hai provocato e io te distruggo!” è entrata per sempre nella memoria popolare.

Chissà se la Raggi recupererà. È giovane, come si dice. Un fatto è certo: questi suoi quasi otto mesi di governo cittadino possono ben ricondurci alla memoria il bellissimo “Polvere di stelle”, con lui, sempre lui, l’Alberto Sordi di sempre.


di Paolo Pillitteri