I numeri e l’inevitabile scissione del Pd

mercoledì 1 febbraio 2017


Il dilemma su cui si discute in questo momento dentro e fuori il Partito Democratico riguarda la cifra indicata da Massimo D’Alema come possibile risultato di una lista di scissionisti antirenziani. È possibile o inverosimile che una rottura da parte dei nemici di Matteo Renzi potrebbe portare alla formazione di una lista della sinistra in grado di raggiungere o superare il 10 per cento?

Sotto a questo dilemma esiste però una certezza che sembra rendere inevitabile una spaccatura del Pd nel caso si dovesse andare a votare con il sistema elettorale di tipo proporzionale provocato dalle sforbiciate della Corte costituzionale prima al Porcellum e poi all’Italicum. Questa certezza è che qualunque possa essere il risultato a cui potrà giungere una lista di scissionisti antirenziani, questo risultato produrrà un numero di parlamentari decisamente superiore a quelli che Matteo Renzi sarebbe disposto a far eleggere in quota-minoranza nella lista del Pd. Può essere, allora, che la lista evocata da Massimo D’Alema non raggiunga il 10 per cento e si fermi solo al 5 per cento. In ogni caso, però, questa lista consentirebbe di far entrare nel nuovo Parlamento un numero di deputati e senatori superiore a quello che entrerebbe se gli scissionisti rimanessero nel Pd ed accettassero la quota di candidature certe assegnata loro dal vendicativo segretario del partito.

Questa considerazione sembra stabilire che la scissione della sinistra del Pd debba essere inevitabile. Il che è vero ma rende vera anche la considerazione che anche Renzi ha tutto l’interesse a favorire una scissione che lo metterebbe in condizione di preparare una lista di soli fedelissimi e priva di qualsiasi nemico interno.

Un Pd di soli renziani e combattuto da una sinistra radicale autonoma potrebbe al massimo raggiungere il 20 per cento. Cioè la metà di quella quota che consentirebbe di vincere il premio di maggioranza alla Camera e di vincere nei collegi del Senato. Ma per chi sa benissimo che neppure un Pd unito, compatto e magari unito a qualche spezzone di Sel o dei centristi di Alfano, potrebbe mai raggiungere il 40 per cento e conquistare il premio di maggioranza, la prospettiva di avere un partito personale del 20 per cento destinato ad essere comunque uno dei protagonisti principali della prossima legislatura è sicuramente preferibile all’eventualità di ritrovarsi con un partito del 30 per cento dove tutti cercano di farti le scarpe.

La logica, quindi, porta alla conclusione che senza una nuova legge elettorale la scissione del Pd sia inevitabile. Ma nella politica italiana non sempre la logica riesce a spuntarla!


di Arturo Diaconale