L’eutanasia è un diritto umano inalienabile

Innanzitutto, di quale eutanasia parlo? Della mia propria buona morte. Ho il diritto di farla finita? Sì, certamente. Il suicidio, in verità, non è né un diritto né una libertà, ma un fatto generato dalla pratica facoltà di poterne attuare la decisione. Se sono legato ad un letto di contenzione o sotto un controllo capace d’impedirmelo, io non perdo il diritto o la libertà di suicidarmi, non subisco un divieto; semplicemente sono vincolato dalle circostanze. Nell’istigazione al suicidio puniamo l’istigatore, non il suicida. La legge si disinteressa del suicida se il suicidio non abbia comportato effetti su altri. Il suicida, suicidandosi, potrebbe aver causato danni risarcibili. Dunque, l’eutanasia ed il suicidio hanno in comune solo la volontà di infliggersi la morte. Infatti il problema dell’eutanasia nasce quando il potenziale suicida non può realizzare l’intento perche le condizioni personali glielo impediscono.

È il caso da ultimo venuto alla ribalta perché l’interessato ha rivolto al presidente della Repubblica un appello affinché il Parlamento approvi una legge che gli consenta di morire in pace. Anche contro questa eutanasia, che costituisce oltre ogni dubbio un diritto umano inalienabile, sono insorte la religione e la cosiddetta bioetica adducendo però motivi che hanno più a che fare con la superstizione che con la ragione. Già David Hume, nel celebre saggio “Sul suicidio”, si domandava: “Che cosa significa l’opinione che un uomo, il quale, stanco della vita e perseguitato dai dolori e dalle miserie, vinca coraggiosamente i terrori naturali della morte ed esca da questa scena crudele; che un tale uomo, dico, incorra nell’indignazione del creatore per aver violato l’opera della provvidenza e turbato l’ordine dell’universo?”, ed aggiungeva: “Non può ciascuno disporre dunque liberamente della propria vita? E non può legittimamente usare la facoltà di cui la natura lo ha dotato?”. Ecco la sua conclusione inattaccabile, allora, adesso, sempre: “Se disporre della vita umana fosse una prerogativa inoppugnabile dell’onnipotente, al punto che per gli uomini disporre della propria vita fosse un’usurpazione dei suoi diritti, sarebbe ugualmente criminoso salvare o preservare la vita. Se cerco di scansare un sasso che mi cade sulla testa, disturbo il corso della natura e invado il dominio peculiare dell’onnipotente, prolungando la mia vita oltre il periodo che, in base alle leggi generali della materia e del moto, le era assegnato”.

Poiché, come giustamente sostiene Hume, noi abbiamo ricevuto dall’onnipotente e dalla provvidenza sia di poter godere il bene che di fuggire il male, non possiamo lagnarci senza esercitare la facoltà di porre fine a “una vita odiosa, piena di pene e infermità, vergogne e miserie”. Ma poi i bioetici sanno rispondere a quest’altra domanda, cioè a chi nuoccio togliendomi la vita? Chi pretende l’eutanasia per suicidarsi non fa male a nessuno e fa bene a se stesso: cosa c’è di più etico di una simile condotta? A tacere che nella maggioranza dei casi “la rinunzia alla vita può essere non solo innocente ma lodevole”. Infine, il comandamento mosaico “Non uccidere” non riguarda noi ma gli altri “sui quali non abbiamo autorità”.

Io trovo davvero esecrabile un ordinamento giuridico nel quale una persona debba invocare l’intervento dello Stato per porre definitivamente fine alla sua insopportabile esistenza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55