Giorno della Memoria: il senso del ricordo

sabato 28 gennaio 2017


“Che senso ha ricordare? Il ricordo della Shoah non deve essere la riesumazione liturgica e museale di un fossile...”, così dice l’ex rabbino capo di Milano, Giuseppe Laras. Quanto abbia ragione e quanto insista, e insistiamo, sul tema dell’attualità di una tragedia, ci fa venir voglia di dire che se non ci fosse oggi, vigoroso, autonomo, forte e orgoglioso lo Stato d’Israele, la Shoah avrebbe senso, ma come storia passata. E allora: meno male che c’è il cinema, viene voglia di dire ogni 27 gennaio, data che l’Onu ha voluto istituire come Giornata della Memoria dell’Olocausto, della Shoah dunque. Non sembri, e non è, una provocazione ma una sorta di risarcimento politico storico morale a un cinema che, spesso bistrattato anche dai suoi “attori”, riesce quasi sempre a coinvolgerci in quella dimensione del pathos che soltanto lo spettacolo (teatro, cinema, tivù) può darci, indipendentemente dalle convinzioni. O, almeno, così si spera.

Certo, il cinema può spingerci a riflettere su una delle pagine più spaventose della storia contemporanea e a ragionare, anche e purtroppo, su quella “sconfitta della memoria” che, secondo Elena Loewenthal, viene provocata da “un passato che si riduce in polvere fra le mani del presente”. In questo senso l’arte cinematografica e la sua potenza raffigurativa e inventiva stimola ed emoziona, e non smetteremo mai di ringraziare lo Steven Spielberg di “Schindler’s list” o la piccola grande Anna Frank col suo diario portato a teatro e poi sugli schermi da George Stevens che, prima di diventare regista, era stato operatore dell’esercito americano e in questa veste aveva filmato uno dei documentari più sconvolgenti, quello della liberazione del konzentrationslager di Dachau, ed altri ancora. L’entrata nel campo di concentramento polacco di Auschwitz era stata invece filmata qualche mese prima - proprio il 27 gennaio del 1945 - da operatori russi al seguito dell’esercito sovietico anticipando di qualche mese lo svelamento di una delle macchine di distruzione umana mai vista e mai provata, ma non nell’antichità, dove peraltro gli ebrei avevano subito deportazione e prigionia da parte dei babilonesi, ma nel cuore del Novecento.

La memoria suscitata dal cinema non può comunque bastare. Nel senso che qualsiasi 27 gennaio che non si interroghi sui perché dell’antisemitismo e dell’antisionismo - con un mondo arabo talmente ostile - offende quella memoria, che riterremmo indelebile se non rischiasse, appunto, di polverizzarsi nelle pagine del presente e, soprattutto, nelle pieghe dei silenzi e delle omissioni. Una delle quali è stata ed è - anche nella giornata di ieri - l’assenza o quasi di un’approfondita diagnosi politica, attuale e senza timori reverenziali, dell’antisemitismo che tanta parte del mondo arabo propugna. Ovviamente anche l’antisionismo fa la sua parte, ed entrambi si concentrano contro quello Stato di Israele che non poca sinistra, non poco del politically correct sono i primi a criticare, a voler fermare e ad accusare.

Soffermarci sull’antisemitismo che ha tanta parte nella costituzione mentale, prima ancora che politica, del mondo arabo, è tanto più necessario quanto meno; anche da noi, le nostre tv - pubbliche o private che siano - se ne sono guardate bene dall’affrontare simile tematica bruciante, con propaggini terroristiche. Con la solita scusa “politica” del quieta non movere. Ed eccoci allora al cinema; eccoci ad elogiare la lista di Schindler che un grande Spielberg ha spettacolarizzato mantenendosi tuttavia fedele alla ricostruzione più rigorosa. E allora, infine, proprio per non dimenticare nel Giorno della Memoria il significato più profondo di un male assoluto che non ci abbandona, ricordiamo, sempre di Laras, il severo monito: “L’antisemitismo, travestito da antisionismo alberga oggi in derive morali e intellettuali, spesso ammiccanti, per amore di terzomondismo, e per sistematica ideologia di erosione della cultura occidentale, all’Islam politico, antisemita nel suo Dna”.


di Paolo Pillitteri