Bene Tajani, male   Salvini: M5S o M5SS?

Prima di farci del riso amaro con il Beppe Grillo politico (subentrato a quello tradizionale), fermiamoci un attimo sull’elezione di Antonio Tajani a presidente del Parlamento europeo. Siccome, anche per via delle tragedie abruzzesi, l’elezione è passata, mediaticamente, in una sorta di cavalleria, vale la pena rilevarne, politicamente, la valenza. Non tanto o non soltanto perché Tajani è da sempre un liberale, un moderato e un europeista fra i migliori e più stimati nel Vecchio Continente, ma soprattutto perché alla sua vittoria si contrappone una sconfitta, quella di Matteo Salvini. E lasciamo a lato, per ora, la Marine Le Pen - alleata del leader leghista, giustamente liquidata dall’eurodeputata Lara Comi sul nostro giornale, in quanto assente dal vero palcoscenico di Bruxelles perché priva di una sua idea di Europa - e vediamo più da vicino il senso della vittoria dell’uno e della sconfitta dell’altro.

Intanto, il vero alfiere del successo di Tajani, uno dei rari, peraltro, si chiama Silvio Berlusconi. Non è la scoperta dell’acqua calda, ma è l’indicazione non soltanto della rianimazione politica di una Forza Italia generalmente tacita o, quel che è peggio, senza iniziative, ma anche delle conseguenze, altrettanto politiche, di una nuova spaccatura all’interno di ciò che chiamiamo centrodestra italiano, però soltanto per comodità lessicale e, a volte, sondaggistica. In realtà questa nuova scissione del “centrodestra” - voluta fortemente proprio da un Salvini che sapeva perfettamente di non avere né un candidato alternativo insieme all’amica Marine né, soprattutto, alcuna chance politica aggiuntiva - suggella qualcosa che peserà, eccome, sul futuro, ed anche sul presente, del leggendario centrodestra; leggendario nel senso peggiorativo, inteso cioè come leggenda, favola, allegoria.

Sarebbe troppo noioso inoltrarci sulla strada dei perché e dei percome, per la semplice ragione che li conosciamo bene, più o meno. Restano alcuni dati di fatto, specifici e ineludibili; la tenuta del Cavaliere sulla presidenza europea annuncia, insieme ad una rottura di un’alleanza su un tema cruciale, le responsabilità dirette e inevitabili di questa scissione che, come ha fatto rilevare il nostro direttore, costituisce una sorta di Opa leghista lanciata sul centrodestra e sulla leadership di Silvio. Salvini, tuttavia, non sembra affatto pensieroso e neppure timoroso circa gli effetti della sua responsabilità dando probabilmente per scontato che il Cavaliere delle elezioni politiche italiane è, sarà, un Cavaliere diverso dall’elezione di un suo amico e seguace alla presidenza europea. In altre parole, Salvini è portato a considerare certo un futuro elettorale, più o meno immediato, sempre e comunque in alleanza con una Forza Italia costretta, “bon gré mal gré”, a stare con la Lega in previsione di una vittoria che in Italia i moderati possono abbastanza agevolmente raggiungere.

Il punto dolente (per Salvini) è il termine “moderato” che in tutto il mondo democratico fa perno sulla filosofia del liberalismo e sull’ideologia della globalizzazione, sia pur con moderazione, filosofia e ideologia che sono in rotta di collisione con la politica salviniana - per non dire lepeniana o brexittiana - dell’antieuropeismo più acceso, dell’uscita dall’Euro, del protezionismo delle piccole patrie ecc.; e l’elezione di Tajani marchia a fuoco proprio questa frattura, questa distanza, questa sorta di inconciliabilità nella misura in cui lo stesso concetto di Europa sta diventando il punto di confronto, di dibattito e di dialogo per miglioralo, modernizzarlo e sburocratizzarlo, ma non certamente per abrogarlo. A parte poi il fatto che i conti elettorali si potranno fare, sia dopo la sentenza della Suprema Corte sia, soprattutto, con la nuova legge che ne deriverà; l’altro possibile calcolo di Salvini di un’alternativa al Cavaliere alleandosi con Grillo è semplicemente una bufala elettoralistica. Grillo, il terzo incomodo, gioca sempre e solo per sé, semmai cambia il gioco istituzionale nello scontro classico destra vs sinistra, cambia pelle come i camaleonti a seconda delle situazioni e, ci mancherebbe altro, pone interrogativi e domande serie allietate, di volta in volta, da vere e proprie barzellette o da imposizioni militari ispirate a una sorta di “Führerprinzip” (dal M5S al M5SS, per dire).

Ci stiamo abituando a queste montagne russe grilline, che siano distensive o militarizzanti dipende dalla verve e dal contesto. Passando da un’intervista a un giornale francese in cui il leader ci riconcilia col buonumore auspicando “programmaticamente” un’Europa dalla moneta comune ma non unica, la libera circolazione di beni e persone ma anche il protezionismo e i confini chiusi, il debito comune ma anche libertà di deficit per ciascuno e via surrealizzando, all’ukaze contro i dissenzienti interni (dopo l’emblematico caso Raggi) ai quali si impone una disciplina ferrea giacché il movimento “è sotto attacco e adesso chi parla fuori dalle righe verrà punito, non ci sarà un futuro per lui” né in Parlamento né altrove. A meno che, si capisce, le dichiarazioni non ottengano il “visto si stampi” dall’apposito trio della comunicazione messo su, dicono, dalla Casaleggio Associati in nome e per conto della ditta politica spacciatrice di libertà e garanzie: ma solo per gli iscritti obbedienti, per gli altri la galera, lo sputtanamento, l’insulto, gli sputi in faccia. Un passo in avanti del M5S verso la nuova sigla: M5SS? Indovinala, Grillo!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56