Tamburini, musicanti   e trombettieri

Il nostro Maestro di vita e pensiero, David Hume, Maestro pure di coloro che davvero sanno di morale e politica, nel “Trattato sulla natura umana” (cito dall’edizione Laterza) scrisse quanto segue: “Neanche le questioni più frivole sfuggono alla controversia, e intanto quelle più importanti non le sappiamo risolvere; e mentre le dispute si moltiplicano come se tutto fosse incerto, esse, poi, son condotte con tanto accanimento come se tutto fosse certo. In mezzo a questo trambusto, non è la ragione che ha la meglio, ma l’eloquenza; e ognuno, purché sappia presentarla con arte, può far proseliti all’ipotesi più stravagante. La vittoria non è dei guerrieri che maneggiano la picca e la spada, ma dei trombettieri, tamburini e musicanti dell’esercito”.

Non conosco un più penetrante ed esauriente giudizio sintetico sulle presenti condizioni dell’Italia, dove i leader politici somigliano così tanto a quei trombettieri, tamburini e musicanti di Hume, mentre non se ne vedono in giro i guerrieri impugnanti piche e spade. Le questioni più frivole, per esempio le gare di canzoni, vengono dibattute come problemi cruciali, con passione corale, mentre l’ipotesi stravagante di lasciare l’euro e mettersi in proprio viene trattata come inevitabile e di fatto acquisita. La grancassa dei “sovranisti” antieuro fa così tanto rumore da aver rintronato il cervello dei suonatori che ormai recitano a soggetto, suonano ad orecchio, improvvisano come jazzisti scombinati. E chi va loro appresso li segue alla stregua di quegli ingenui sfaccendati che amano accodarsi ai cortei a prescindere dalla destinazione. E per codesti “sovranisti” Hume, senza offesa, avrebbe parlato forse di pifferai o di musicanti del piffero. Il trombettiere strombazza che la globalizzazione costituisce la vera causa del declino, tra rullar di tamburi e musiche a festa. I guerrieri depongono picche e spade. Paradossalmente, vincono i suoni sui ferri. La verità è sommersa dalle note e dai rumori, anziché uccisa dalle armi. Fuggire dalla dura realtà della concorrenza per rifugiarsi nel mondo incantato del protezionismo viene fatto sembrare utile, facile, preferibile.

Fare da soli, tornare alla lira, chiudersi in sé viene dato per certo che siano la scelta migliore, mentre la ragione, la storia, l’economia stanno lì a dimostrare che la nazione italiana, ben prima di diventare Stato italiano, uscì dai secoli bui medievali inventando, praticando, perfezionando gli istituti e i prodotti del commercio internazionale. Fu grazie alla proto-globalizzazione (vanto di mercanti, banchieri, imprese italiane) dei primi secoli del secondo millennio che l’Italia primeggiò nel mondo, si arricchì, divenne un modello universale di civiltà, sapere, splendore. E fu grazie allo smantellamento delle bardature autarchiche fasciste che l’Italia liberale ricostruì il Paese distrutto e sconfisse la miseria del dopoguerra. Dissero “miracolosamente”, ma non accadde nulla di miracoloso: la vittoria arrise ai guerrieri coraggiosi che adoperarono con forza le armi della saggezza. In quel trambusto prevalse la ragione del buongoverno contro i musicanti d’allora, che con altri nomi suonano oggi la stessa solfa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:55