Silenzio! Parla  Massimo D’Alema

Corsi e ricorsi della Storia. La cronaca registra il ritorno sulla scena di Massimo D’Alema. Dopo la battaglia referendaria, il “líder máximo” si prepara ad incassare il dividendo della vittoria. Lo farà il prossimo 28 gennaio quando proverà a trasformare i 300 comitati per il “No” alla riforma costituzionale, costituiti su sua ispirazione, in strutture embrionali dedicate alla costruzione di un progetto riformista per il centrosinistra, diverso da quello attuale.

L’annuncio lo ha dato lo stesso D’Alema nel corso di un’illuminante intervista rilasciata al Corriere della Sera. Ma non è l’unica novità offerta dal politico che si ribellò al destino di “rottamato”. Il post-comunista redivivo dice cose interessanti. La prima è una sentenza lapidaria sul futuro del modello renziano.

“Con Matteo Renzi non vinceremo mai”, dichiara netto D’Alema. E spiega: “Tra lui e una parte del nostro mondo si è determinata una rottura sentimentale, difficilmente recuperabile”. Non è questione di rancore personale ma di lucida analisi della realtà. D’Alema guarda ai risultati delle recenti elezioni amministrative e osserva che il Partito Democratico a guida Renzi ha perso quasi dappertutto e che anche dove ha vinto non scalda i cuori della gente comune. Non è un caso che nella graduatoria del gradimento degli amministratori locali vi siano in testa Chiara Appendino, sindaca pentastellata di Torino, e i due governatori leghisti Luca Zaia e Robero Maroni. Per D’Alema è il sintomo di uno scollamento tra il vertice del Pd e la sua base, destinato ad ingigantirsi a causa della percezione molto negativa che l’elettorato di sinistra ha tratto dall’azione di governo: troppo protesa a stabilire legami forti con l’establishment e meno attenta ai bisogni reali delle fasce basse della popolazione.

Quindici miliardi di risorse pubbliche distribuiti a pioggia ai più ricchi contro un solo miliardo assegnato in finanziaria al sostegno di oltre 9 milioni di italiani in stato di povertà sono un pugno nello stomaco per una classe dirigente cresciuta nel solco della tradizione del grande partito operaista, difensore dei ceti meno abbienti. Ciò che D’Alema non dice ma lascia intendere è che il riposizionamento strategico del Pd renziano ha di fatto aperto praterie di consenso per i movimenti cosiddetti populisti. Grazie ad un’astuta torsione ideologica, il Movimento Cinque Stelle ha colmato il vuoto politico creato a sinistra e oggi punta a rappresentare, da forza egemone, l’alternativa di sistema al potere delle élite.

La previsione di D’Alema sul futuro è tranchant: questo Pd, anche con il soccorso di Silvio Berlusconi, non avrà i numeri per governare il Paese. L’analisi incrocia due fattori significativi: la contrazione per destabilizzazione ideale e programmatica della base del Pd e lo scarso seguito che l’ipotesi di governo di “Grosse Koalition” raccoglie nell’elettorato di centrodestra. Per il “líder máximo” due debolezze non fanno una forza, da qui la strada spianata a Grillo per la conquista di Palazzo Chigi, magari con l’aiuto di una Lega sciolta da ogni vincolo di lealtà verso l’ex alleato forzista. Sui prossimi passi D’Alema resta cauto. Vuole attendere gli esiti delle amministrative di primavera per capire quanto estesa e profonda sia la linea di faglia creatasi tra i vertici e la base del Pd. Le elezioni comunali a Genova, in particolare, saranno la cartina di tornasole per i nuovi scenari. Per il centrosinistra perdere il capoluogo ligure sarebbe devastante.

A quel punto i destini delle diverse anime che si agitano all’interno del Pd potrebbero separarsi. Ma non del tutto, perché per tornare a governare bisognerebbe comunque fare massa critica nelle urne al netto del modesto apporto parlamentare dei cespugli centristi e dell’eventuale soccorso azzurro concesso da Berlusconi. Allora, per la riforma elettorale che verrà, meglio risuscitare il “Mattarellum” che impone candidati di coalizione. Benché distinti e distanti fino all’acredine e all’odio personale, capi e capetti del centrosinistra che fu sarebbero costretti a restare uniti. E a sforzarsi di parlare la stessa lingua.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56