Giulio Occhionero e...  l’aggravante massonica

Habemus Grande Fratello! Si chiama Giulio Occhionero. Il super-spione cibernetico, che avrebbe violato la privacy degli uomini più potenti d’Europa, ha un volto. È quello di un “giovane” stagionato, dal carattere introverso che avrebbe messo in piedi un sofisticato sistema di hackeraggio con la complicità della sorella Francesca Maria. Questi due, insieme, sarebbero il “lato oscuro della Forza”. Ma li avete guardati in faccia? Con tutto il rispetto che si deve al lavoro degli inquirenti qualche dubbio ci assale. Che sia l’ennesima bolla di sapone? Non vorremmo che, alla fine della fiera, si scoprisse il nulla dietro le azioni un po’ sconsiderate e parecchio disinvolte di due “bravi ragazzi” condizionati da un monumentale complesso d’inferiorità nei confronti dei propri genitori, studiosi di chiara fama e di sicuro successo sociale. Più che di “grandi vecchi” sembrerebbe la storia di due che girano a vuoto nel cercare di trarre profitto da “skill” acquisite in anni di studio ma mai utilizzate nel giusto verso.

Giulio, l’ingegnere nucleare quarantacinquenne con una passione per i computer, ancora stenta a trovare un lavoro adeguato alle sue competenze professionali. È la madre Marisa Ferrari, sociologa già docente all’Università “La Sapienza”, a pagargli la pizza al sabato ed a mettergli la benzina nella Yaris, l’utilitaria immatricolata nel 2001, con la quale Giulio dovrebbe percorrere le strade del potere. Non è per fare i difficili ma ci sembra un po’ poco per un aspirante “Grande Fratello”, nel senso orwelliano del termine e non nella versione Mediaset. Nella sua morbosa ricerca di accaparrarsi dati sensibili Giulio Occhionero può aver commesso reati? Può darsi. Sarà il processo a dirlo. Ma, per il momento, andiamoci piano a crocifiggerlo sulla base di un “potrebbe”. E soprattutto evitiamo che a quel povero disgraziato che l’avrà pure combinata grossa, non si sa quanto consapevolmente, non gli venga affibbiata anche l’immancabile “aggravante massonica”. Già! Perché ciò che ha contribuito a dare sapore alla minestra è stata la rivelazione dell’appartenenza dell’indagato alla massoneria del Grande Oriente d’Italia.

Quando la notizia è trapelata c’è stato chi ha ritenuto di aver trovato finalmente la “pistola fumante”, la prova certa e inconfutabile della natura spionistica e complottistica della fratellanza libero-muratoria. Grazie al “Trojan” Occhionero si spera di arrivare al “salotto buono” della massoneria. Fatica sprecata! L’istituzione muratoria non c’entra con i supposti maneggi del suo affiliato Occhionero. Tuttavia, un problema c’è e il Gran Maestro Stefano Bisi farebbe bene a non sottovalutarlo. Non basta dire, emulando la sindaca Virginia Raggi del “caso Marra”: “Occhionero è uno dei ventitremila iscritti”. Occorrerebbe indagare il grado di aspettativa che il singolo aderente ripone nella sua scelta d’appartenenza all’organizzazione massonica. “Lavorare per il bene e il progresso dell’Umanità” può essere la motivazione di molti, ma non di tutti. Negarlo sarebbe da ingenui. Non sono pochi coloro che cercano di costruirsi una “carriera” all’interno dell’istituzione libero-muratoria nell’illusione che ciò favorisca una progressione nella vita sociale e professionale. Quale migliore biglietto di presentazione che dirsi iniziato e titolare di segreti e d’informazioni riservate? Ma è uno specchietto per le allodole del tutto inefficace nella vita reale per la semplice ragione che la Massoneria in quanto organizzazione, almeno in Italia, è strutturalmente assente dai gangli decisionali dove si concorre a determinare le sorti della comunità nazionale.

Il vero grande problema, di cui l’“affaire Occhionero” potrebbe costituire la punta dell’iceberg, non è l’attacco allo Stato da parte di forze occulte ma la diffusione del millantato credito quale malattia esantematica, mai debellata, delle organizzazioni massoniche. Una riflessione sul tema non guasterebbe.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56