“L’élite progressista contro il popolo”

L’altro giorno il meritorio “Il Foglio” si chiedeva perché ci sono così pochi Angelo Panebianco, alla luce del suo lucido fondo del “Corsera” sul grande tema della guerra di religione scatenata dal cuore di tenebra islamico, alle cui sanguinarie dimostrazioni pressoché quotidiane, l’autore ci offre precise, specifiche e inoppugnabili motivazioni, in primis che tali macerie solo dall’Islam religioso sono prodotte. Allo stesso modo ci poniamo oggi l’interrogativo dei perché così pochi Nicolò Costa, alla luce del suo fiammeggiante libricino uscito in queste ore grazie a “Il Giornale” di Alessandro Sallusti, si interroghino sulla reale consistenza aggressiva della cosiddetta casta, in particolare, e del potere reale sviluppato in Italia dal “notabilato locale e/o decentrato”, compattatosi allora nelle prove generali dell’antiberlusconismo, poi sviluppatosi in forme più sofisticate ma non meno oppressive sulle società, anche tramite la casta, per l’appunto, ma non solo.

Il fatto è che sviscerare tali problemi significa anche, e soprattutto, mettere il dito sulle piaghe più brucianti a cominciare da quelle del pensiero più o meno unico contro cui il pamphlet di “L’élite progressista contro il popolo” di Costa, docente universitario all’Università di Tor Vergata a Roma e prima ancora alla milanese Bicocca, dove coordinava, come ora, il corso di laurea sul Turismo cui ha già dedicato, la scorsa stagione, un provocatorio e brillante “Elogio del turismo vacanziero”. Il titolo quanto mai esplicito indicava e indica la headline “ideologica” che sottendeva l’illuminante saggio, in larga misura anticipatore dell’attuale che porta a segno colpi ben assestati alla pigra gora delle menti, comprese quelle addette all’interrogazione e spiegazione dei segnali più presenti e gravidi nel mondo così passivo della cultura e della speculazione in questo tempo, segnato dalla digitalizzazione ma, soprattutto, dalla liquidazione del ceto medio.

Da liberale e liberista, ma senza alcun pennacchio di riferimento nel panorama, invero desolante, del deserto politico che, speriamo, dovrebbe nutrire, Costa entra subito in media res nel suo nuovo fiammeggiante libricino, con la sanzione irreversibile rovesciata sulla ristretta élite della finanza e delle multinazionali digitali che ha scatenato un conflitto contro il ceto medio di ieri e di oggi. E che si è ribellato appena ha potuto come insegnano la Brexit in Gran Bretagna, il trionfo di Donald Trump negli Usa e il “No” in Italia al referendum. Non deve affaticare, anzi, il neolinguaggio costiano, la cui impronta accademica si scioglie in fascinose cantiche neomoderne dove termini di riferimento come ipermobili globali, confusionari apolidi, occupati sicuri, esclusi e precari, vite immobili per necessità e rinviate, vite immobili per libera scelta, vite mobili identitarie, costituiscono la necessaria piramide esplicativa di quello stato delle cose che da noi, specialmente da noi e non da ora, vede lo scontro fra conservazione dei privilegi e lotta contraria conseguente, nella consapevolezza, ahimè, che il diffuso conformismo mediatico si fa forte grazie anche alle protezioni, spesso ingannatrici, sia della casta, sia, specialmente, da parte dei veri e unici poteri forti che, quasi cooptandola, ne hanno - per dir così - devitalizzato gli ormoni critici da un lato, mentre dall’altro l’insistenza mediatica proprio sulla casta non solo mostra la sua debolezza concettuale per i legami instaurati con “facili moralizzazioni escludendo il riformismo liberale che propone l’eliminazione dei privilegi senza rabbia e con provvedimenti ispirati alla difesa dei diritti e dei doveri dei cittadini in quanto elettori, consumatori, imprenditori, lavoratori”.

Ed eccoci al nucleo centrale dell’elaborazione concettuale con cui l’autore infilza, come solo lui sa fare, il neopotere esistente, ovvero quel nuovo notabilato che formatosi con lo scopo di distruggere il berlusconismo sta oggi occupando il vero potere facendosi schermo della casta. Il loro è un potere di gran lunga più forte e pernicioso, perché a differenza di quello castale, non viene svolto in difesa dei privilegi esercitati per i propri vantaggi, ma è esplicitamente esercitato contro il popolo. Ma, attenzione, l’autore scava dentro questa fortezza, dentro il notabilato, ne va alle radici, anzi, ai vertici, negando subito che su quella cima ci stiano accomodati i castali, provvisoriamente regnanti. Per carità, ci sono dominati e comminanti giacché “al vertice del notabilato in Italia vi sono i Procuratori della Repubblica, il vero ceto dominante del gruppo locale dominante mentre i mediatori politici, sindacali e le altre figure di rappresentanza sono il ceto dominato di quell’ensemble, che appare sempre più interno a gruppi chiusi, allergici alla visibilità democratica e impegnati a moralizzare la società secondo schemi di piazza pulita, per epurare senza controlli, anche e soprattutto nella pervicace convinzione di dover imporre sacrifici agli altri facendosi belli e buoni con i soldi degli altri, come l’accoglienza di flussi migratoti giganteschi locali o tasse eccessive sulle imprese nazionali, in nome della legalità, della moralità, della giustizia”. E le élite, anche e soprattutto di sinistra, purtroppo per loro, vengono ora percepite come esecutrici di simili disegni, se non addirittura come cupola del notabilato, benché, a dirla tutta, il vero vertice che li sovrasta è incarnato “dal magistrato nazionale moralizzatore, anticorruzione che con una semplice indagine abbatte i rappresentanti legittimamente eletti”.

Notabilato, poteri forti, immigrazione incontrollata, minacce di scomparse identitarie occidentali (Lasch), politica debole se non assente, mancanza di fondamenti critici e occasioni speculative e scarsa attenzione alla realtà; questi i punti centrali del ragionamento che l’autore mette in rilievo con una sofisticata, intelligentemente provocatoria procedura terminologica, sempre tesa verso una strategia dell’attenzione all’attualità. In ispecie economica e finanziaria, con le delocalizzazioni imposte dal capitalismo finanziario con quel pretesto filosofico che falsifica e strumentalizza il senso più profondo e moderno della società aperta. E con la mortificazione delle identità locali e nazionali, elogiando gli sradicati privi di lealtà preso le identità nazionali, sullo sfondo delle colpevoli élite progressiste che avevano, già negli anni novanta, tradito la democrazia concentrando il potere nelle mani di quel notabilato finanziario mondiale il cui obbiettivo altro non è stato che l’abbandono del ceto medio e dei suoi valori. Meditate gente, meditate.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56