La democrazia sospesa

All’esito del risultato del referendum costituzionale, che ha sonoramente contraddetto la linea impropriamente assunta dal Governo sul tema vitale dell’assetto istituzionale della Repubblica sancito dalla Costituzione del 1948, è stato formato il nuovo Esecutivo Gentiloni, che sostanzialmente costituisce la riproduzione del precedente dimissionario, perché sconfitto e delegittimato dalla volontà popolare.

Le questioni problematiche possono così sintetizzarsi.

1) L’attuale Parlamento è stato eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte (sentenza n. 1 del 2014), perché violativa del principio della rappresentanza popolare, a causa dell’attribuzione di un premio di maggioranza sproporzionato ed irragionevole, rispetto al consenso elettorale effettivamente ottenuto dalle liste.

2) Il Governo si è illegittimamente impegnato in una campagna referendaria, estranea alle sue funzioni e dalla quale è uscito pesantemente (e politicamente) sconfitto.

3) La volontà popolare, espressione della sovranità che appartiene al popolo (art. 1 Cost.), ha pertanto sancito, senza possibilità di dubbio, che il Governo non gode della fiducia degli Italiani. In tal modo, secondo il principio della democrazia diretta, che si è legittimamente espresso, nessun Governo analogo al precedente può essere formato, se non violando il primo principio fondamentale della Costituzione. La volontà del popolo, il cui giudizio politico il Governo ha provocato appropriandosi del referendum costituzionale con una posizione di parte, non può mai e poi mai essere disattesa, sotto pena della rottura dell’ordine democratico.

4) Il Presidente della Repubblica, rappresentante dell’unità nazionale e garante dell’assetto istituzionale (art. 87 Cost.) deve assicurare il rispetto della volontà popolare e a tal fine, nella situazione creatasi, ha un percorso obbligato da seguire:

a) prendere atto del risultato referendario, che ha salvato la Costituzione repubblicana e dal quale il Governo Renzi è uscito inequivocabilmente sconfitto (60% di No e 40% di Sì);

b) nominare un Governo istituzionale, presieduto dalla seconda carica dello Stato (il Presidente del Senato) o, in caso di sua indisponibilità, a seguire, dal Presidente della Camera dei deputati o dal Presidente della Corte costituzionale, per portare il Paese alle elezioni, con i sistemi elettorali vigenti o che necessariamente risulteranno tali a seguito dell’attesa pronuncia della Corte Costituzionale sull’Italicum;

c) sciogliere le Camere con proprio decreto, controfirmato dal neo Presidente del Consiglio dei Ministri così nominato (artt. 88 e 89 Cost.), e indire le elezioni nei tempi previsti dalla Costituzione (le stesse devono aver luogo “entro settanta giorni dalla fine delle precedenti” e quindi dallo scioglimento anticipato, ai sensi dell’articolo della 61 Costituzione).

Invece, si è formato un Governo, con la stessa linea politica e con la quasi totalità dei Ministri (che avevano addirittura propugnato il Sì al referendum costituzionale) di quello precedente, sconfitto dal referendum popolare. Lo stesso ha ricevuto nuovamente la fiducia da un Parlamento, doppiamente delegittimato sia per il suo intrinseco difetto di rappresentanza sia per aver approvato, con ben quattro votazioni, una riforma costituzionale respinta dal popolo! Trattasi di evidente contraddizione sia con il principio della democrazia diretta sia con quello della democrazia rappresentativa, che gli artt. 1 e 138 Cost. invece coordinano in un virtuoso bilanciamento, fermo restando che il primo, quando si sia manifestato nelle forme e nei limiti costituzionali, non può in alcun modo essere smentito dal secondo, come invece avvenuto con il nuovo Governo.

Ignorare la volontà popolare significa produrre una rottura della legalità costituzionale ed una democrazia sospesa, da riportare al più presto, con nuove elezioni, a mezzo delle quali il popolo possa esprimere l’indirizzo politico, nel quadro dei valori e dei principi della Costituzione.

(*) Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:33