Berlino: la lezione del terrorista Amri

È più che fondato il timore che qualche terrorista, organizzato o isolato che sia, possa pensare di vendicare Anis Amri colpendo l’Italia e le sue forze dell’ordine. Ed è quindi più che giustificato l’investimento di cento milioni di euro al mese nel potenziamento dei sistemi di sicurezza che debbono preservare il territorio nazionale dalle possibili vendette per la morte del responsabile della strage di Berlino.

Ma la vicenda di Anis Amri impone anche di affrontare il problema dei Centri di accoglienza. Perché il ragazzo tunisino sbarcato a suo tempo a Lampedusa sembra aver compiuto il suo percorso di radicalizzazione proprio in uno di questi centri. Ed il suo caso sembra dimostrare che, se le carceri debbono essere considerate come le università del crimine, i ventri di accoglienza hanno tutte le caratteristiche delle università che invece di produrre dottori producono terroristi.

Il problema non è di facile soluzione. Perché i flussi migratori accolti annualmente dal nostro Paese sono sproporzionati in eccesso rispetto alle possibilità di inserimento senza frizioni e traumi nella società italiana. Perché la stragrande maggioranza di chi arriva in Italia non ha alcuna possibilità concreta di essere rapidamente inserita nel circuito lavorativo e produttivo. E perché i centri di accoglienza diventano indispensabili per assicurare sia la sopravvivenza che il primo controllo di masse di migranti in gran parte formate da giovani senza alcun tipo di formazione lavorativa e tendenzialmente portati ad aggrapparsi alla propria identità culturale e religiosa per resistere alle difficoltà di un inserimento lungo e tormentato.

Tutti questi perché indicano che la prima fase della sicurezza deve svolgersi nei centri d’accoglienza. Che però non vanno considerati come dei campi di concentramento o come delle succursali delle carceri. Come troppo spesso avviene non per scelta ma per necessità. Ma andrebbero trasformati in luoghi di formazione dove preparare i giovani profughi ad inserirsi nel Paese prima conoscendo e poi accettando i valori ed i principi fondanti della nostra società.

Purtroppo, però, l’esperienza insegna che questa strada non viene seguita. Si preferisce puntare sulla distribuzione parcellizzata dei migranti negli ottomila comuni pensando che la formazione diventi per loro un processo automatico e naturale, piuttosto che preoccuparsi a forgiare i nuovi cittadini impedendo loro di scivolare nella criminalità o nel terrorismo. Si dirà che un processo del genere è troppo costoso e che l’Italia della crisi non se lo può permettere. Ma se la formazione deve essere realisticamente limitata, perché l’accoglienza rimane incontrollata?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:07