La Fifa del poppy

Il poppy è il papavero di stoffa o carta che nel Regno Unito i cittadini britannici alle ore 11 del giorno 11 del mese 11 (novembre) di ogni anno indossano all’occhiello. E dovunque si trovino e qualunque cosa stiano facendo, si fermano. Immobili, in silenzio per due minuti, commemorano e onorano i caduti in guerra, nel ricordo del giorno in cui terminò il primo conflitto mondiale. Perché il poppy? Il primo verso della poesia di un ufficiale recitava: “Sui campi delle Fiandre spuntano i papaveri tra le croci”.

E così il papavero, con il suo rosso vermiglio, diventò il simbolo del sangue sparso sui campi di battaglia e del sacrificio dei tanti che lo versarono fino alla morte. Chiunque abbia assistito a questa “cerimonia diffusa” di un intero popolo, alla sentita partecipazione della gente, al silenzio improvviso che cala spegnendo i rumori della città, resta attonito. In nessun’altra nazione è dato vedere qualcosa di simile. Niente retorica militaresca, niente tromboni, niente petto in fuori, ma compostezza, discrezione, orgoglio.

Ebbene, che fa la Fifa, cioè la Federazione mondiale del calcio? Decide di multare le quattro federazioni britanniche (Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord) perché nelle partite di qualificazione per il mondiale del 2018 hanno esposto “simboli politici”, cioè perché i calciatori portavano la fascia a lutto con il poppy rosso, pure inquadrato sul tabellone dello stadio. Secondo Claudio Sulser, presidente della commissione disciplinare della Fifa, “non è nostra (della Fifa, ndr) intenzione giudicare o discutere il significato delle commemorazioni, ma negli stadi e sul campo c’è posto solo per lo sport, nient’altro”. Gli ha risposto per le rime il ministro inglese dello sport, Tracey Crouch: “I poppies sono un tributo al coraggio e la sacrificio di uomini e donne, non un simbolo politico. I tifosi sono fieri di mostrarlo”. Il signor Sulser evidentemente trascura che può oggi fare la maestrina sol perché morirono quelli la cui commemorazione ha sanzionato con una multa più che oltraggiosa, verso i morti e verso i vivi.

Dunque per la Fifa “negli stadi e sul campo c’è posto solo per lo sport e nient’altro”, una frase che ne ricorda un’altra famosa: “Qui non si fa politica”. Eppure negli stadi di calcio è tutto un grondare di frasi e imperativi sul rispetto e la lealtà. A me pare un cedimento al politicamente corretto scambiare i poppies, e ciò che significano, per simboli politici. A me pare una somma ipocrisia sportiva censurare il sacrificio ed il coraggio in guerra ed esaltarlo nel dar calci ad un pallone. A me pare irrispettoso e sleale censurare e addirittura punire chi, combattendo anche a prezzo della vita, ha dimostrato assoluto rispetto e totale lealtà verso se stesso, la sua comunità, ed il supremo bene di tutti, sportivi compresi, che è la libertà. E che sarebbe lo sport, se non pura propaganda politica, senza i valori che la Fifa e il suo zelante funzionario stigmatizzano? Non ricordano, la Fifa e Sulser, che cosa erano gli stadi sotto il fascismo, il nazismo, il comunismo, se non tripudi di bandiere rosse o nere e di esaltazione dei regimi, se non luoghi di culto della personalità sanguinaria dei dittatori? È lì che si faceva (e si fa) politica, non negli stadi delle democrazie che celebrano un gioco sportivo. È deprimente e mortificante che in un campo di calcio possa portarsi il lutto al braccio per le vittime di quel nazismo contemporaneo che è l’Isis, e non per i vincitori del nazismo storico.

In questa triste vicenda, di politico c’è solo la trista politica del signor Sulser malamente mascherata da intenzioni pretesamente rispettabili.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:41