Europa: disunita nella diversità

Ci risiamo, di nuovo a piangere innocenti, di nuovo ad inveire contro un mondo troppo distante dal nostro, nuovamente a professare buonismo, a non capire una cosa tanto basilare quanto, evidentemente, di difficile comprensione da parte della stragrande maggioranza della politica, dell’opinione pubblica e dei semplici osservatori.

“Unita nella diversità”, così recita il motto dell’Unione europea. Un concetto nobile nelle intenzioni, tuttavia profondamente falso se applicato a ciò che attualmente rappresenta questa organizzazione internazionale politica ed economica.

Adesso più che mai l’Unione europea è, al contrario, “disunita nella diversità”. Ventotto Stati membri troppo differenti l’un con l’altro, sotto ogni punto di vista – politico, economico, storico, sociale, culturale – un dislivello eccessivamente marcato. Finlandia comparata alla Grecia; Danimarca al Portogallo; Svezia alla Spagna o Germania all’Italia; bolidi da corsa ed utilitarie, insieme nello stesso parco auto.

Paragonandoci – metaforicamente nonché sportivamente parlando – agli Stati Uniti d’America, anch’essi con profonde divisioni ma unione quando conta, o alla Cina, per citare due superpotenze; basterebbe pensare ad una staffetta, nella quale, alla partenza una squadra è composta interamente da atleti in salute ed allenati, ed un’altra formata da due performanti allo stesso modo, ed altri due di salute cagionevole, non allenati; è facilmente ipotizzabile chi possa essere il vincitore.

L’Occidente – l’Europa – sta attraversando anni drammatici; ogni nuovo attentato provoca una ferita in più al corpo di questo Vecchio Continente, fiaccato sia da attacchi esterni sia da lotte intestine. In gravi momenti di debolissima sicurezza, come l’attuale, in cui trovare l’antidoto sembra (è) un miraggio, l’atteggiamento intelligente e responsabile che Bruxelles dovrebbe assumere è la coesione: unione, appunto.

Il Piano Juncker – che prevedeva la redistribuzione tra i Paesi Ue, in due anni, di quarantamila richiedenti asilo sbarcati sulle coste italiane e greche dal 15 aprile 2015 – è totalmente fallito. Solamente duemila ne sono stati ricollocati. Un risultato imbarazzante. Ungheria e Bulgaria avrebbero ricevuto un trattamento particolare poiché già accolgono moltissimi migranti dall’Est e dalla Turchia e dunque sarebbero stati esclusi. Spagna e Regno Unito criticarono aspramente il carattere di obbligatorietà che questa redistribuzione comportava, mentre Lituania, Slovacchia e Repubblica Ceca insistettero affinché fosse esplicitamente menzionata la volontarietà. Questo è l’emblema dell’Europa, nessun piano di sicurezza condiviso bensì esclusivamente dissidi ed eterogeneità, vergognosa eterogeneità.

Nei nostri confini nazionali, a maggior ragione data la posizione geografica dello “Stivale”, la situazione non cambia, anzi. È vero, siamo fortunati ad avere dei Servizi segreti - con esperienza qualificatissima, derivante dalle misure che, all’epoca, furono escogitate per gli “Anni di piombo” prima e per la Mafia in seguito - che tutti ci invidiano. Tuttavia, limitarsi a fare affidamento esclusivamente sulla nostra intelligence non basta più. La bussola sta cominciando a perdere l’orientamento, il lume della ragione si sta spegnendo a causa dei soffi che arrivano, a turno, da un buonista o da un populista. Fa rabbia ascoltare chi si riempie la bocca di belle parole, coloro i quali si indignano per le condizioni in cui versano i centri di accoglienza, quando loro stessi sono i primi ad insorgere, a non accettare immigrati accanto alle loro case a Capalbio. Ipocriti buonisti!

D’altro canto, fa rabbia ascoltare chi parla di mandare tutti a casa senza fare distinzioni, con soluzioni impossibili da attuare, predicando populismo incondizionato. Anche qualche esponente della Chiesa contribuisce a completare questo quadretto di ipocrisie, fini a se stesse, affermando che gli estremisti islamici agiscono così poiché spinti da “espressioni troppo volgari” pronunciate da alcuni esponenti politici; a dire che, dunque, un terrorista decide di lanciarsi con un camion in un mercatino di Natale solamente poiché la mattina sulle pagine di un quotidiano qualunque sia stato disturbato da qualche frase troppo violenta. Massimo rispetto per la Chiesa, minimo rispetto per idiozie di questo genere.

I controlli devono aumentare – non mi riferisco solo al confine ma anche nelle carceri, allo stato attuale dei fatti, vere e proprie università di radicalizzazione, fucina di nuovi estremisti – bisogna urgentemente rivedere le procedure di espulsioni, più celeri e senza possibilità di ricorsi, poiché innescano iter burocratici, lassi di tempo deleteri. Non ci vuole né finto buonismo né becero populismo; bensì intransigente tolleranza, che non è affatto un ossimoro ma è la filosofia del tollerante con gli immigrati che non compiono reati - coloro i quali varcano la porta di un altro mondo con rispetto - ed al contrario, rigidi, intransigenti, definitivi verso coloro i quali commettono reati e dunque non meritano di convivere con una cultura come quella occidentale. Un cultura che, nonostante abbia sbagliato, ostinandosi nel volere a tutti i costi esportare la democrazia – ogni volta che sento parlare di “Primavera Araba” mi viene amaramente da ridere – a Paesi che non hanno mai avuto l’Illuminismo e dunque fermi alla notte dei tempi, senza mai esser evoluti, resta pur sempre la cultura della libertà e dei diritti civili.

Questa guerra, in atto, non è tradizionale come tutte le precedenti, questa è enormemente più complessa, un vero scontro tra due mondi, tra una cultura che vuole distruggere l’altra. Non si conosce la faccia del nemico, perché il nemico di oggi può essere l’amico insospettabile di ieri, magari anche il tuo vicino. Una guerra non più solamente con armi convenzionali, ma con mezzi comuni come i camion, con l’unico scopo di infondere ancor più paura.

Finché non ci sarà cooperazione, finché un Paese segnalerà ad un altro Paese membro la presenza di un soggetto altamente pericoloso, senza però essere ascoltato, la situazione non cambierà e, se dovesse farlo, lo farà peggiorando. Sarà un concerto, una mostra d’arte, un mercatino o chissà cosa. La certezza è che prima o poi saremo di nuovo qui, sgomenti, a piangere nuove innocenti vittime, senza che concretamente si sia provato, se non (ahinoi) a debellare, almeno a limitare questo male oscuro, continuando, seppur in minima parte, a ritenerci responsabili per la nostra inettitudine.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01