L’errore di base del Movimento 5 Stelle

martedì 20 dicembre 2016


Sarebbe facile, a margine della quasi annunciata débâcle grillina di Roma, citare un conosciuto detto popolare capitolino: “Chi amministra ha minestra”. Ma in realtà ciò che sta frantumando la credibilità degli onesti a Cinque Stelle non è solo l’ennesimo guazzabuglio politico-giudiziario il quale, soprattutto nella Città Eterna, appartiene oramai all’ordinaria amministrazione, per così dire. Tutto ciò rappresenta in qualche modo, tanto per usare un’espressione tipica dell’intercalare di Carlo Freccero (forse l’intellettuale più illustre recentemente arruolato nelle truppe guidate da Beppe Grillo e da Davide Casaleggio), il portato inevitabile di un grave errore d’impostazione su cui lo stesso Movimento 5 Stelle basa la sua stessa esistenza: la presunta diversità dei suoi rappresentanti rispetto a tutto il resto del mondo politico nazionale.

Sotto questo profilo, ribadendo un concetto già espresso, i grillini non possono essere considerati come mera manifestazione della cosiddetta anti-politica, bensì essi, per come declinano seppur molto confusamente la loro azione, si possono ascrivere all’ennesima versione di un modello etico della politica e, conseguentemente, dello Stato. Ed il presupposto della loro purezza consiste in un ragionamento tanto elementare quanto assurdo sul piano logico: la diversità, per l’appunto, di una schiatta di cittadini-rappresentanti, per questo assiomaticamente retti e probi, rispetto a quella che viene definita classe politica. Una classe politica che evidentemente, secondo il parere di Grillo & company, mostrando in blocco caratteristiche diametralmente opposte alla citata purezza grillina, deve per forza provenire da un altro pianeta.

D’altro canto, la supposta alterità dei “politici” è un argomento che ha sempre fatto parte del mugugno popolare, con tutto il suo bagaglio di facili generalizzazioni e giudizi all’ingrosso che esso comporta. Ma finché tutto ciò resta confinato all’interno di uno spettacolo comico-satirico, così come lo stesso Grillo ha fatto per decenni, nulla di male. In Italia è pieno di abili teatranti che, senza minimamente prendere in considerazione i complessi aspetti sistemici delle nostre moderne democrazie del consenso, sputano sentenze di condanna politica a colpi di battute umoristiche. Il problema sorge quando il populismo demagogico di costoro si trasferisce nell’agone politico, creando dal nulla partiti e movimenti con un orientamento qualunquista e privi di una minima coerenza nella loro linea, principalmente dal lato dell’economia.

Ecco, come dimostra il caso eclatante di Roma, allora sono veramente guai. Dalla padella di una politica da sempre troppo incline a gestire il consenso con tasse e assistenzialismo, si finisce diritti nella brace di una compagine di miracolati, selezionati non si sa bene in virtù di quale criterio, che si comportano come bambini che giocano col fuoco dentro una polveriera. Il disastro Capitale di Virgina Raggi conferma appieno l’assunto.


di Claudio Romiti