Chi ha fatto poco e chi ha fatto troppo

La giustizia da noi viaggia su accelerati e direttissimi, a seconda delle situazioni e cioè dei protagonisti: giudici, politici o cittadini che siano. Meno male che i Radicali hanno promosso un “Pannella Day” a Cremona, e lo diciamo con quel senso di malattia incurabile che è la malinconia. Malattia che non ci toccava ai tempi di Marco Pannella anche, e soprattutto, perché la giustizia - sullo sfondo del terribile caso di Enzo Tortora - aveva trovato nei Radicali, ma non solo, penso ai socialisti e ai garantisti sparsi qua e là, un argomento principe, una montagna da scalare, una battaglia nobile che partiva dal basso dei carcerati fino all’alto degli eccellenti. Una battaglia riformista a tutto tondo che imponeva una riforma da fare presto e bene. Figuriamoci. Nessuna riforma o suo tentativo non è, almeno fino ad ora, stato compiuto “comme il faut”, giacché qualsiasi riforma o riformetta, da Silvio Berlusconi ad Andrea Orlando, è stata timidamente accennata, scalfita ma mai del tutto risolta.

Pannella Day, “et pour cause”, nel tempo nel quale si osservano le retate pressoché quotidiane con arresti eccellenti, il caso di Vincenzo De Luca, nientepopodimeno che presidente della Campania indagato per voto di scambio; l’ex sindaca di Genova condannata a cinque anni e al sequestro dei beni; le dimissioni dell’assessore Paola Muraro della Giunta Raggi con ben “cinque avvisi di garanzia cinque” con tanto di telefonata impositiva (dicono) di Beppe Grillo alla sindaca, come se ce ne fosse stato bisogno, salvo che per un aspetto diciamo mediatico-pubblicitario e pro domo sua. E vabbè. Pannella day, ancora, e non a caso, proprio nel giorno ad hoc. Il giorno della conferma di Orlando a Guardasigilli, in lui e nell’opera svolta in questi mille giorni con Matteo Renzi è emblematizzato l’immortale detto del “chi ha fatto poco e chi ha fatto troppo”; poco, troppo poco, ancorché volonterosamente, ha realizzato Orlando viaggiando, per l’appunto, come un treno accelerato o un trattore guasto se è vero, come è vero, che il fieno da lui portato in cascina è ben poca cosa rispetto al fienile della giustizia che attende ben altro da oltre vent’anni.

Nel rapporto politica-giustizia sembrano ancora risuonare le parole di Mauro Mellini, che già nel 1994 ammoniva severamente a proposito dello squilibrio fra giustizia e classe politica denunciando “il peso della magistratura, la sua tendenza a costituirsi in partito e interlocutore di Governo, Parlamento, corpo elettorale, e il suo sconfinamento in funzioni costituzionali e in operazioni politiche che sono la contraddizione del suo ruolo corretto e non danno certezza d’incremento e di speranza per garanzie, diritto e legalità”. Parole sante, ancorché inascoltate. Ha fatto troppo poco il ministro Orlando, ma potrebbe anche fare di più e meglio con Paolo Gentiloni, anche se un certo scetticismo è d’obbligo. In compenso c’è chi ha fatto troppo, appunto. Ed è il Renzi allora Premier. Fatto troppo per la giustizia? Macché! No, per la Rai e in genere per la tivù. L’ossessione referendaria renziana per i mezzi di comunicazione si è sfogata nel medium televisivo con un incalzare sistematico, onnipresente e onnivoro. Adesso basta, pensavamo noi, e invece lui procedeva indefesso dalle luci dell’alba fino a notte inoltrata visitando il visitabile fra talk-show, telegiornali, spettacolini ad hoc, dibattiti e/o soliloqui tribunizi da cui si sono salvati i vari “Master Chef”, ma per caso.

Un treno direttissimo, superveloce, altro che freccia del Sud. Ha fatto troppo e ha perso, il buon Matteo, anche in Rai, servizio pubblico, e l’accusa di avere “copiato” il Cavaliere d’antan, dotato di Governo e di tivù regge fino ad un certo punto, anche perché Mediaset era, è e sarà (noi non tifiamo per Vincent Bolloré) di sua proprietà. La Rai invece no, non è di proprietà privata, tanto meno di un Premier. Adesso, via Renzi, quel suo uso e abuso del servizio pubblico radiotelevisivo ripropone, a cominciare dalla minoranza del suo Partito Democratico, una ricomposizione, se non dimissione, dei vertici amici suoi, con una generale e più che giustificata richiesta di maggiore trasparenza. E forse anche la richiesta di un Tg2, se non addirittura di una rete, a Milano non appare così stravagante, tanto più che da almeno trent’anni i socialisti, da Claudio Martelli in poi, hanno proposto esattamente la stessa cosa. Milano è il nord che produce, Milano è la metropoli dell’innovazione, è una sorta di Città-Stato culla del “made in Italy” e della tivù berlusconiana, capitale dell’editoria, con alle spalle un’Expo straordinaria, anche e sopratutto negli effetti indotti. E mi fermo qui, altrimenti il direttore mi fulmina.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00