Adesso ascoltare l’Italia

Cercare un precedente a questa crisi è come cercare un ago in un pagliaio. Non lo si trova perché non c’è. In compenso c’è un’Italia diversa, complessa, facile e difficile da interpretare, al di là dei tanti “No” e dei pochi “Sì”, al di là di Matteo Renzi e persino di Sergio Mattarella che, pure, sarà il dominus delle prossime settimane se non mesi. È il Paese contro, in rivolta, arrabbiato, rivendicativo e deluso, ma non vendicativo e neppure domo, come si diceva una volta.

Enumerare le ragioni di questo scontento riversatosi nelle urne è fin troppo facile e, forse, populisticamente declamatorio. Ma i fatti ci sono eccome, e parlano, hanno parlato, hanno votato e hanno detto “No”. Attenzione! La diversità dell’Italia di oggi - sia rispetto al referendum di Bettino Craxi che a quelli di Marco Pannella - significa anche un diverso “No”, posto che il “Sì” vincente avrebbe indicato una continuazione del cosiddetto “uomo solo al comando”, ma fino a dove e fino a quando? Le complicazioni emergono non appena si cominciano a enumerare gli altri “No” impliciti a quello emerso nelle urne dalle matite (non) copiative.

Il dato incontrovertibile è che il Premier ha preso meno voti che alle Europee, cosicché la sua sconfitta non è ai punti ma per knock-out. Gli italiani l’hanno bocciato. Giusto o sbagliato che sia, è un fatto indiscutibile. Lottatore indomito e onnipresente in tivù, ma solitario e senza una squadra degna di questo nome, senza un’organizzazione adeguata. A bocca aperta, dove sono finite le fantomatiche migliaia di comitati per il “Sì”? Non se n’è visto uno. E vabbè. Certamente non si ritirerà dalla politica, certamente non tornerà fra i boy scout della terza età, certamente rimarrà a capo del Partito Democratico. Con un ma però: il Pd, questo Pd, che va dal Premier a Bersani, dalla Boschi a D’Alema, da Calenda a Cuperlo fino a Gotor passando per Giachetti, esce pure lui malmesso; anzi, più malmesso di tutti, per ironia della sorte, anche per via della sua cosiddetta posizione centrale in Parlamento da cui, dicono, non si può prescindere. Ma ne siamo così sicuri, con un partito diviso se non sfasciato e comunque sconfitto, dove la cosiddetta “Ditta” pare vincente ma in realtà non saprebbe nemmeno da che parte (ri)cominciare? Anche perché il Renzi della notte del redde rationem ha buttato la palla nel campo dei vincitori con una sorta di “adesso tocca a voi, avete vinto, avanzate proposte, offrite soluzioni, istituzionali e, perché no, di governo”, ben sapendo che fra di loro regna la massima differenza politica e che, se mai c’è un vincitore cui hanno un po’ tutti (Renzi compreso) portato acqua, è soltanto Beppe Grillo, che, infatti, vuole le elezioni subito. Come Matteo Salvini e Giorgia Meloni che, a prima vista, compongono il trio dei veri vincitori. Il quarto è indubitabilmente Marco “il Terribile” Travaglio, che ha dato la linea. Ma siccome è politicamente impossibile metterli insieme, il gioco dell’oca o a scacchi continuerà, con un Cavaliere che non ha perso grazie al suo fiuto ma che non è affatto nelle condizioni più ideali per seguire il trio suddetto nelle richiesta di elezioni anticipate. Peraltro, il Cavaliere dovrà guardarsi da Salvini e Meloni che vogliono le primarie, magari con una metà di Forza Italia che si occulta dietro i cespugli, pur consapevole che i voti li becca il Cavaliere, altro che primarie.

E poi Berlusconi anelava e anela al tavolo delle trattative, quell’oscuro oggetto del desiderio divenuto oggi più chiaro e vicino, e solo allora si vedrà e capirà. Ma con l’Italia che è uscita dalle urne, come la mettiamo, come la metteranno, vincitori e vinti? Il rancore dapprima solo grillino si e trasformato in una protesta civile e ordinata. La rabbia si è incanalata nelle tubazioni del confronto e non dello scontro, la vittoria dei cosiddetti arrabbiati sembra più una risposta degna dei padri della democrazia, confermando ancora una volta che questa, la democrazia, è innanzitutto dissenso. Renzi ne ha preso atto, ma non potrà essere lui, chissà per quanto, un protagonista, dovrà avere uno speciale (non ne è pratico, anzi) low profile, non so se come quello di Cameron sconfitto dalla Brexit o di Hollande che si ritira dalla corsa prossima ventura o dai socialisti spagnoli divisi e quelli tedeschi per non dire di quelli polacchi, estoni, lituani, in difficoltà in Europa (a parte l’Austria felix. E verde. Felix?).

Diciamocelo: il “No” a Renzi è stato anche un no a questa Europa, soprattutto all’Euro che ha letteralmente raddoppiato le spese del ceto medio riducendogli, per soprammercato, le aspettative di benessere e di lavoro. La smetta questa sinistra con questa Europa; la smetta con la faciloneria con cui ha affrontato il nuovo diluvio universale dell’immigrazione; la smetta con le sottovalutazioni tipo quella davvero emblematica della Brexit e di Trump; la smetta cioè con la sua innata vocazione alla superiorità ideale e morale sugli altri. Ritorni in mezzo alla gente, come diceva il poeta: “Ascolto il tuo cuore, Paese”. Ritorni in fretta a questa Italia che le ha detto un “No” con forza, in tanti, e con decisione. Ma serenamente convinti, e con la massima civiltà. L’invito può essere rivolto alla stessa destra o centrodestra o come-si-chiama quella cosa lì dove il Cavaliere sembra, dico sembra, tornato alla verde primavera dopo il rigido inverno. Ascoltare questa Italia è un dovere che tocca a tutti, persino a Grillo. Mai scherzare col fuoco.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:36