Un referendum di liberazione nazionale

Qualunque possa essere l’esito del referendum, la resa dei conti all’interno del Partito Democratico sarà micidiale e definitiva. In caso di vittoria del “Sì”, Matteo Renzi non farà prigionieri in una minoranza che considera il solo ed unico ostacolo alla sua ascesa verso il consolidamento definitivo del proprio potere. Ma in caso di vittoria dei “No”, i nemici del Premier scateneranno una guerra senza esclusione di colpi per riprendere il controllo di un partito che considerano oggi finito nelle mani di un usurpatore insopportabile.

La trasformazione del referendum in una sorta di giudizio di Dio su chi debba comandare nella sinistra italiana è la conseguenza inevitabile della scelta di Renzi di avviare la conquista del Pd all’insegna della “rottamazione” non solo della “vecchia guardia” ma anche della tradizione post-comunista rappresentata dai dirigenti nati e cresciuti nel Pci-Pds-Ds. L’attuale Premier non solo non ha mai nascosto ma ha cavalcato con la massima energia e visibilità l’intenzione di cambiare pelle al Partito Democratico, liquidando insieme ai dirigenti anche le idee di cui erano stati testimoni e portatori. La sua non è stata una normale battaglia interna per la conquista della segreteria di un partito. È stata l’avvio di una sorta di pulizia etnica destinata a concludersi con l’eliminazione degli avversari e con la trasformazione antropologica di una sinistra che da post-comunista avrebbe dovuto diventare “Partito della Nazione” post-democristiano.

Il referendum segna il momento finale della pulizia etnica renziana e della resistenza a questa azione di distruzione di massa. Nessuno è in grado di prevedere oggi quale sarà l’esito della partita (anche se il nervosismo crescente di Renzi sembra confermare le difficoltà del fronte del “Sì” a recuperare il vantaggio sul fronte del “No”). Ma qualunque possa essere questo esito è certo che all’indomani del voto il Partito Democratico avrà finito di essere una formazione politica unitaria.

I sostenitori di Renzi sfruttano questa previsione per ricattare gli elettori affermando che la bocciatura della riforma costituzionale getterà il Paese nel caos. Ma sbagliano in maniera grossolana. Perché la fine dell’eterno congresso del Pd non potrà che riportare un minimo di stabilità ad un Paese che da più di un ventennio subisce sulla propria pelle le conseguenze del fallimento della fusione a freddo tra post-comunisti e post-democristiani di sinistra.

In questa luce il referendum non è una scelta tra vecchia e nuova Costituzione, ma da liberazione nazionale delle beghe interne della sinistra italiana!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:07