Se Pier Carlo Padoan  perde la bussola

Sono tempi bizzarri quelli in cui viviamo. Che un bieco tribuno della plebe faccia proclami a sfondo ricattatorio ci può stare: è nel Dna di chi agita strumentalmente le pulsioni irrazionali delle masse prediligere toni da “o la borsa o la vita”. Ma che lo faccia il nostro ministro dell’Economia, che ha nelle mani la prosperità della nazione, lascia senza parole.

Pier Carlo Padoan, intervistato da “la Repubblica”, si è lasciato andare a insoliti toni ultimativi contro l’Unione europea. Per il ministro: “L’Europa deve scegliere da che parte stare. Può accettare il fatto che il nostro deficit passi dal 2 al 2,3 per cento del Pil per far fronte all’emergenza terremoto e a quella dei migranti. Oppure scegliere la strada ungherese, quella che ai migranti oppone i muri, e che va rigettata. Ma così sarebbe l’inizio della fine”.

Pur di dribblare le obiezioni dei controllori europei sulla sostenibilità di una manovra finanziaria sfacciatamente “elettorale”, Padoan non si fa scrupolo di usare terremotati e immigrati alla stregua di scudi umani. Siamo a Mosul o a Roma? Senza entrare nel dettaglio tecnico della interlocuzione in corso tra Via XX Settembre e i Palazzi di Bruxelles, a noi sembra roba da terrorismo psicologico. Per il Padoan-pensiero, che imita il Renzi barricadiero, l’avallo delle autorità centrali al suo progetto di bilancio dovrebbe essere articolo di fede, come il dogma della Trinità: o si fa come diciamo noi o si finisce nel burrone ungherese e allora addio Europa. Benché non fossimo ferventi adoratori di questa Europa, ugualmente non riusciamo ad appassionarci alla minaccia in stile “Jihadi John” del nostro ministro dell’Economia.

L’Ue sta sbagliando tutto perché le policies imposte dal rigorismo tedesco hanno impoverito i sistemi economico-sociali di molti Paesi membri invece che aiutarli a espandersi. Andrebbe quindi rimesso tutto in discussione, a cominciare dalla revisione del Trattato di Maastricht? Certo che sì. Ma la “linea del Piave” del riscatto italiano in sede europea non può ridursi all’accattonaggio. Alla fine della fiera, si tratterebbe di elemosinare un permesso a fare maggior debito che le future generazioni comunque dovranno pagare. In concreto, la genialata pensata dal duo Renzi-Padoan starebbe nel drogare i conti pubblici del 2017 con il pretesto dei morti sotto le macerie del terremoto e degli immigrati strappati alle onde nel Canale di Sicilia. E i pretesi margini di manovra in deficit cosa dovrebbero finanziare? Investimenti per la crescita? Interventi per la lotta alla povertà dilagante? Case per i terremotati la cui costruzione richiederà anni, se non decenni? Niente di tutto ciò. Mance, nient’altro che mance da distribuire a pioggia a sponsor e supporter per la raccolta del consenso. Obiettivo: restare in sella, costi quel che costi.

Padoan ripudia il modello ungherese, ma li ha letti i dati macroeconomici della Repubblica danubiana? Pil in crescita, debito pubblico sostenibile, sistema scolastico e universitario di alta qualità - il 90 per cento degli studenti parla inglese - mercato del lavoro flessibile, elevata produttività. E per Padoan questo sarebbe il flagello d’Europa? Si dirà: gli ungheresi alzano i muri. E con questo? Si difendono, non vogliono essere invasi, tengono a salvaguardare l’integrità delle loro tradizioni identitarie. Sono per questo da condannare? Per tutta la varia umanità che si riconosce nell’odierno occupante di Palazzo Chigi, sì. Per coloro invece che, rispetto al multiculturalismo montante, abitano dall’altra parte dell’infinito, cento, mille volte meglio un premier come Viktor Orbàn.

Su un punto però Padoan ha ragione: bisogna scegliere da che parte stare. E allora meglio chi dice no alla resa incondizionata all’invasione allogena piuttosto che subire la protervia di “fenomeni” che, messi alle strette, non sono così diversi da quei grassatori di strada che minacciano: o la borsa o la vita.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00