Con il “Sì” verso l’instabilità

sabato 24 settembre 2016


Tutti, a partire da Matteo Renzi, si esercitano a disegnare gli scenari che potrebbero determinarsi nel caso di una vittoria del “No” nel referendum sulla riforma elettorale. Il Premier ripete che la bocciatura della modifica della Costituzione spalancherebbe la porta al caos scatenando le reazioni negative dell’Unione europea e degli Stati Uniti ed aprendo una crisi di governo destinata a sfociare nelle elezioni anticipate. E sulla scia del Presidente del Consiglio i suoi sostenitori e fiancheggiatori aggiungono che il successo del “No” chiuderebbe definitivamente la strada delle riforme e provocherebbe un drammatico ritorno al passato per il nostro Paese.

Ma che succederebbe se invece del no dovesse vincere il “Sì”? Nessuno sembra interessato ad un interrogativo del genere per la semplice ragione che in caso di vittoria del “Sì” tutti danno per scontato che il Governo Renzi resterebbe tranquillamente al proprio posto e la legislatura arriverebbe lentamente alla conclusione naturale in mezzo al tripudio internazionale ed all’esaltazione della forza riformatrice del Presidente del Consiglio incoronato Premier.

In realtà una previsione del genere pecca di mancanza di realismo e di fantasia. Di realismo, perché non tiene conto che l’esito del referendum non inciderà minimamente sui numeri presenti in Parlamento e, soprattutto, sulla spaccatura in atto nel Partito Democratico tra la maggioranza renziana e la minoranza antirenziana. Di fantasia, perché la mancata risoluzione della frattura interna del Pd potrebbe portare da un lato alla scissione del partito e dall’altro alla decisione di Matteo Renzi di usare l’onda della vittoria referendaria per chiudere una volta per tutte la partita con i suoi nemici interni andando al più presto ad elezioni anticipate.

Paradossalmente, quindi, il caos preventivato in caso di vittoria del “No” potrebbe determinarsi in caso di vittoria del “Sì”. Perché nella prima eventualità l’attuale Presidente del Consiglio sarebbe obbligato dal risultato a rimanere al proprio posto forte di una maggioranza contraria per ragioni di convenienza personale ad aprire una crisi al buio priva di sbocchi (Renzi continuerebbe a guidare un Pd sempre e comunque decisivo alla Camera). E perché nella seconda eventualità, cioè la vittoria del “Sì”, un Renzi ingolosito dalla possibilità di sbarazzarsi definitivamente della minoranza interna non avrebbe alcuna difficoltà ad imporre al Quirinale ed al Parlamento l’immediato ricorso alle urne per sfruttare le difficoltà contingenti dei grillini ed il ritardo di riorganizzazione del centrodestra. Il “Sì” come fattore di instabilità? Può sembrare paradossale, ma rischia di essere vero!


di Arturo Diaconale