Le ricette per il nuovo centrodestra

Sbaglia di grosso chi crede che il problema del centrodestra sia la scelta del leader e del linguaggio da adoperare per ridare fiducia al popolo dei moderati. Il leader c’è ed è e rimane Silvio Berlusconi. Ed è del tutto impensabile che ci possa essere una successione in vita del fondatore di Forza Italia e dell’unificatore del fronte del centrodestra italiano. Questo non significa che il giorno in cui si andrà a votare, sempre che nel frattempo il Cavaliere non riesca a riottenere la eleggibilità strappatagli ingiustamente per via giudiziaria, non sorga il problema della leadership di Forza Italia e, se l’Italicum non dovesse cambiare, di chi debba guidare il listone unico dei moderati. Ma si può risolvere oggi un problema che si porrà nella più breve delle ipotesi tra un anno? E, soprattutto, si può porre il problema della leadership senza aver prima posto il doppio problema della classe dirigente e del programma da proporre agli italiani?

La decisione di Stefano Parisi di mettersi a disposizione per il rilancio di Forza Italia e dell’area moderata non apre la questione della successione, che come si è visto non esiste, ma solleva il doppio problema della classe dirigente e del programma.

Sul primo punto sbaglia clamorosamente chi immagina che per la selezione della nuova classe dirigente basti sostituire il vecchio metodo della cooptazione con quello della rottamazione. In realtà negli ultimi anni questa operazione è già avvenuta per autorottamazione da parte di chi, benché portatore solo della cooptazione berlusconiana e non di consenso personale, ha scelto di mutare casacca e salire sul carro del vincitore momentaneo. Questo vuoto va riempito dai “vecchi”, dai “nuovi” e da chi vuole interpretare il ruolo del figliol prodigo. Ma per riempirlo non c’è altra strada che quella della competizione. Chi ha idee, energia, passione e s’impegna conquistando consenso va avanti. Chi aspetta la chiamata rimane fermo.

Altro falso problema è quello del programma. Che rimane sempre e comunque quello della rivoluzione liberale in uno dei Paesi rimasto tra i più statalisti del pianeta. Naturalmente, però, la rivoluzione liberale di oggi non può essere simile a quella del 1994 ma va adeguata alle esigenze del tempo presente. In particolare alla crisi dell’idea solo economico-finanziaria dell’Europa, alla sfida dell’Islam politico ed imperialista, all’immigrazione senza controllo e senza gestione, alla devastazione di una cultura politicamente corretta che ha preso il posto della vecchia egemonia comunista e pensa di sostituire la storica identità dell’Occidente con un nichilismo straccione destinato a farsi spazzare via da ogni forma di radicalismo religioso.

Non si tratta di innervare il vecchio programma del 1994 con qualche infiltrazione di populismo attuale. Si tratta di capire che la sfida della rivoluzione liberale va rapportata all’attualità mai derogando ai princìpi delle libertà e delle garanzie dei cittadini. Per fare questo non basterà l’uomo solo al comando. Ce ne vorranno tanti e tutti capaci e convincenti!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:05