Le due giornate di Sesto Fiorentino

Negli annali di Storia Patria ci mancava. Dopo le “Cinque Giornate” di Milano, le “Quattro Giornate” di Napoli, adesso abbiamo le “Due Giornate” di Sesto Fiorentino. Merito della locale comunità cinese che, ormai incistata nella realtà della cittadina toscana, da qualche giorno è in violenta rivolta. Anche in questa storia, come in ogni epopea che si rispetti, c’è l’eroe che insorge contro il potere ingiusto e c’è il tiranno. Nella vicenda, l’oppressore è un impiegato dell’Asl, l’eroe un imprenditore cinese. Il primo osa sfidare la proverbiale riservatezza orientale chiedendo di visionare la documentazione amministrativa dell’azienda; il secondo reagisce al sopruso. Quale oltraggio più grave si può compiere ai danni di un “onesto” datore di lavoro dell’estremo oriente che ci onora di produrre a casa nostra che chiedergli di tirare fuori i documenti? Risultato: il titolare dell’azienda aggredisce l’“aguzzino” dell’Asl e gli “sbirri” che lo accompagnano nel raid liberticida.

Stando alle ricostruzioni, l’“eroe” cinese si sarebbe servito del corpo di un bambino per farsi scudo contro gli “aggressori”. Nella storia entra in scena un nonno. Vi chiederete cosa c’entra adesso un nonno. Non si è capito. Comunque c’era, visto che, nel parapiglia scatenato dal “padrone” cinese, l’arzillo nonnetto ha preso a morsi un agente che gli chiedeva di mostrargli il documento d’identità. Voleva identificarlo, l’aguzzino, e con quale diritto? Non sapeva forse il trinariciuto milite che non è bello infrangere le regole di una cultura antica che non ama che agli schiavi si rivolga la parola? Se quel carabiniere avesse frequentato i corsi di multiculturalismo organizzati dalla sinistra dell’accoglienza o se soltanto avesse chiesto lumi alla signora “presidenta” della Camera, Laura Boldrini, non sarebbe incorso nell’inescusabile errore.

Era evidente che, dopo questa serie di abusi compiuti dai sordidi oppressori italiani, la comunità cinese di Sesto Fiorentino si sentisse in dovere di scendere in piazza e iniziare una guerriglia urbana con le forze dell’ordine a base di sassaiole, lanci di bottiglia e di pali della luce divelti. Più di mille sono stati i combattenti con gli occhi a mandorla spuntati all’improvviso da ogni dove per sopraffare il nemico. Cioè lo Stato italiano. D’altro canto, come si può sopportare il sopruso di un tiranno che pretende il rispetto delle regole, la tutela della salute dei lavoratori, la salubrità nei luoghi di lavoro e produzioni sicure per i consumatori? Come potrebbe mai andare assolto davanti al tribunale della storia, in tempi di globalizzazione, quel Paese che si ostina a garantire la dignità umana invece di apprezzare le opportunità che offrono i nuovi paradisi della deregulation?

Come non restare ammirati dai miracoli compiuti in Estremo Oriente, in India, in Pakistan, in Brasile, in Sudafrica, in Thailandia e anche in certi luoghi ameni dell’Europa dell’Est, dove produrre è bello perché costa niente perché niente costa la manodopera? In un Paese oscurantista come l’Italia, che pretende di difendere i diritti dei lavoratori, solo pochi spiriti illuminati meritano di salvarsi. Sono quei campioni del sistema industriale che hanno proditoriamente “esportato” all’estero le aziende, nei luoghi giusti, lasciando a piedi le vecchie, costose maestranze italiane. Allora, hanno ragione i cinesi a reclamare i loro diritti: il diritto di tenere in schiavitù i lavoratori, il diritto di non rispettare alcuna regola, il diritto di prendere a morsi i carabinieri, il diritto di rispondere con la violenza a chi osa chiedere di visionare i documenti aziendali, il diritto di mutare la libertà d’impresa in impunità totale. Questo è il futuro che ci aspetta. Non vi piace? Lo temete? Vuol dire che siete antichi, superati, novecenteschi. È bene che vi facciate da parte lasciando che il colorato mondo del multiculturalismo militante vi penetri, vi possieda fino a…

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:01