Il rottamatore e la retromarcia

È arrivato il momento di spiegare agli italiani tutti perché Matteo Renzi è solo un fromboliere. E di quelli che le sparano davvero grosse. Ci viene riferito che fin da fanciullo era rinomato nella sue Firenze come un cantastorie di rango: uno di quelli seri, che le sa sparare grosse badando bene di alterare la realtà come meglio aggrada all’interlocutore di passo. Un personaggio davvero collodiano, più un Lucignolo che un Pinocchio. Un ragazzaccio con tutte le carte a posto per garbare ad un certo elettorato di strada. Il salumiere vi dirà che Matteo ama mangiar bene, i suoi amici che a scuola e all’università spiccava per l’inventar riunioni parapolitiche, il festaiolo riconoscerà che il ragazzotto va gustosamente per patonze. E qui non apriamo certe parentesi, non vorremmo si facciano salaci allusioni sugli attuali ministri.

Quindi, manteniamoci sulle bugie dette ai tanti beoti, ovvero all’elettorato. A prescindere se si sia d’accordo o meno sulla chiusura dell’Automobile Club d’Italia (Aci), Camere di Commercio e Senato della Repubblica, urge dimostrare come Renzi non potrebbe mai nemmeno scalfire certi uffici. Pena perdere consensi, potere e appoggi, persino nella sua Firenze. Non è certo un mistero che Vasco Galgani, attuale presidente della Camera di Commercio di Firenze, continuerebbe ad appoggiare con i voti il già rinomato “patto fiorentino del bignè” (così lo hanno appellato gli addetti ai lavori) solo se il buon Matteo mettesse da parte la crociata contro le Camere di Commercio. Galgani sa bene che le invettive di Renzi fanno parte di un canovaccio teatrale, una sorta di recita per piacere all’uomo di strada: nei fatti il Presidente del Consiglio sa bene che su Firenze, città commerciale e d’alto artigianato, è enorme il potere della Camera di Commercio.

Infatti, durante la tenzone tra Dario Nardella ed Eugenio Giani per subentrare alla candidatura a Palazzo Vecchio per il Partito Democratico, pare che Galgani abbia promesso l’appoggio a Nardella, a patto che Renzi sfumasse sempre più sulla questione delle Camere di Commercio. È indubbio che l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi abbia messo in moto un effetto domino sull’economia fiorentina: Firenze è l’unica città d’Italia che avrebbe registrato la ripresa del mercato immobiliare. Ma l’uomo di Renzi a Palazzo Vecchio (Nardella) non raccoglierebbe l’effetto benefico se il suo dominus tornasse a bomba sulla chiusura delle Camere di Commercio. Ardua anche la soppressione dell’Aci: infatti l’ingegner Marco Franzoni, attuale presidente dell’Aci di Reggio Emilia e vice di Sticchi Damiani (presidente nazionale), è grande amico e sostenitore di Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza di Renzi. Delrio non è propriamente un comunista, anzi proviene dal Ppi (già Democrazia Cristiana), ed è stato il primo sindaco di Reggio Emilia dal 1945 a non aver militato nel Partito Comunista. Ergo, per quanto il suo spirito padano lo spinga verso il rigore, Delrio sa bene quanti voti manovri il Franzoni, uno tra i più votati presidenti locali dell’Aci, che su Reggio Emilia annovera un’importate piazza per il settore auto e servizi derivati. Così anche l’Aci sopravvivrà all’Era Renzi che, nato rottamatore (pardon giovane democristiano), si è trasformato in collezionista di pezzi da sfasciacarrozze.

Passiamo al Senato, la cui chiusura o anche modifica con riduzione di competenze e personale, si dimostra tutta in salita. Non tanto per le aderenze dei due segretari generali Ugo Zampetti (con i suoi 478mila euro annui) ed Elisabetta Serafin (“solo” 427mila), nemmeno per i due vice segretari Guido Letta (340mila) e Aurelio Speziale (328mila). Il muro è rappresentato da quella zona grigia stipendiaria fatta di funzionari e dirigenti tra i 10 ed i 20mila euro mensili: ovvero tutti i sottoposti di segretari generali e vice. Si tratta di figli, mogli e mariti di gente molto importante nei salotti capitolini, ambienti da sempre agognati da chi fa e disfa le leggi. Non dimentichiamo che già ai tempi del Duce correva obbligo farsi blandire da nobiltà nera e salotti romani. Tradizione poi inalterata da democristiani, socialisti, missini, forzisti, leghisti e, dulcis in fundo, renziani.

Così, di giorno, “Lucignolo” spara a zero su enti ed istituzioni da chiudere, mentre la sera i suoi stretti collaboratori si trovano a dover mediare tra leccornie e bisbocce romane. “A coso, a onoré, nun me chiude er Senato - pare abbia tuonato un imprenditore durante una tavolata pariolina - sennò a questo pezzo di figliola dove la mandiamo a fare la funzionaria?”. I colonnelli renziani non sanno che pesci prendere. Pare che la moglie di un noto professore universitario, che di mestiere fa la dirigente del Senato, abbia già organizzato cene e salotti sia con la fronda interna del Pd (la sedicente sinistra) che con destre varie e grillini in incognito. È Roma. Bella, decadente, piagnona e fregnona… ma difficilmente un politico cosiddetto democratico non ci si adegua. Pensate a D’Annunzio, vi giunse ardito e la lasciò da decadente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21