Il provincialismo e<br/> il ritardo dell’Europa

Le elezioni europee sono sempre state viste dalle forze politiche italiane come un’occasione per mandare a Strasburgo ed a Bruxelles le vecchie glorie non utilizzabili sul piano interno e le mezze figure da soddisfare con un incarico molto ben retribuito. Per anni il Parlamento Europeo è stato concepito dai vertici politici italiani come un’assemblea onorifica priva di poteri reali. E solo da quando è scoppiata la crisi e l’opinione pubblica nazionale ha capito che la sua soluzione non passa per Montecitorio o Palazzo Madama, le elezioni per il Parlamento Europeo hanno conquistato una maggiore attenzione dai partiti e dai loro leaders.

Ad aumentare questa attenzione hanno contribuito, poi, alcuni fattori dipendenti dalle particolari condizioni della presente situazione interna. La principale è quella che riguarda Matteo Renzi. Il segretario del Partito Democratico è diventato Presidente del Consiglio senza aver ottenuto alcuna legittimazione elettorale. Ed è fin troppo facile rilevare che il voto europeo, benché non in grado di coprire direttamente il suo vuoto di legittimazione, sia destinato comunque a dimostrare la solidità o meno della sua presenza al vertice della politica italiana e dello stesso Pd.

La seconda condizione riguarda Silvio Berlusconi. Il leader del centrodestra si trova per la prima volta costretto a partecipare ad una campagna elettorale in una condizione di svantaggio nei confronti dei suoi avversari. Sia per la limitazione imposta dalla sentenza del Tribunale di Milano, sia per la scissione di Forza Italia subita ad opera di Angelino Alfano, sia per lo sbandamento subito dal proprio partito a seguito della nascita del Nuovo Centrodestra e dell’aggressione politico-giudiziaria che ha provocato la sua espulsione dal Senato e l’assegnazione ai servizi sociali. Chiunque, al suo posto, avrebbe gettato la spugna. Lui, invece, continua a combattere. Nella certezza che qualunque possa essere il risultato del voto il suo ruolo determinante per le riforme non potrà essere modificato e nella speranza di poter compiere in campagna elettorale una ennesima dimostrazione di vitalità e forza destinata a smentire quanti lo considerano al tramonto.

La terza condizione riguarda Beppe Grillo. Il capo del Movimento Cinque Stelle conta di fare il pieno del voto di protesta per porsi come il principale antagonista di Renzi e del suo asse con Berlusconi. E punta a trasformare il voto europeo in una sorta di referendum anti-Europa e anti-sistema. La quarta condizione riguarda i rapporti di forza tra le diverse componenti del centrodestra. Il superamento o meno del quorum del quattro per cento da parte del Nuovo Centrodestra e di Fratelli d’Italia fisserà le regole e le gerarchie per l’inevitabile riaggregazione, magari sotto forma federativa, tra le diverse componenti del disciolto Popolo della Libertà. Sempre che, ovviamente, l’asse Renzi-Berlusconi regga e produca la riforma elettorale dell’Italicum tesa a favorire le aggregazioni dei partiti piuttosto che le singole forze politiche.

Come si vede, tutte queste condizioni riguardano le questioni interne e non toccano minimamente la ragione specifica del voto del 25 maggio, cioè la presenza italiana nel Parlamento Europeo. Provincialismo? Sottovalutazione? In gran parte è così. Ma se la classe politica italiana continua ad essere poco attenta all’Europa non è solo per i suoi ritardi, ma anche per il ritardo della Ue rispetto ai Paesi ed ai popoli che la compongono. Un ritardo che è tutto politico e che potrà essere colmato solo quando il Parlamento da eleggere sarà l’effettiva assemblea legislativa del Vecchio Continente capace di esprimere il vero e autorevole governo dell’Unione Europea. Cioè quando nasceranno gli Stati Uniti d’Europa!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 16:29