Bicamerale del ‘98, finalmente la verità

Per anni e anni il fallimento della Bicamerale del 1998 è stato citato dalla sinistra e dai suoi media di riferimento come l’esempio più clamoroso ed evidente dell’inaffidabilità di Silvio Berlusconi. E per settimane, proprio facendo riferimento a quel fallimento, la sinistra conservatrice ed i giornali che la sostengono, hanno raccomandato a Matteo Renzi di ricordare il fallimento della Bicamerale e di non fare patti per le riforme istituzionali con il Cavaliere fraudolento.

Chi ha memoria storica e onestà intellettuale sa bene che non fu il leader di Forza Italia a far saltare la Bicamerale. Ma questa verità storica è stata schiacciata e cancellata dalla vulgata egemone della sinistra tesa a demonizzare il Caimano. Così pochi si sono accorti che proprio in questi giorni la verità storica ha finalmente bucato la coltre di menzogne della vulgata demonizzatrice. E finalmente è venuto alla luce che la Bicamerale non venne affondata dal capriccio di Berlusconi, ma dall’incapacità della sinistra di allora di resistere alle pressioni del cosiddetto “partito dei magistrati” e delle sue componenti più giustizialiste e oltranziste.

L’artefice della grande rivelazione non è stato il Cavaliere e neppure un esponente del centrodestra presente ai fatti del ‘98. Se lo avessero detto sarebbero stati bersagliati da raffiche di negazioni sarcastiche e di offese personali. L’artefice è stato l’altro protagonista della Bicamerale del 1998, Massimo D’Alema. E le sue affermazioni - secondo cui ad affondare la Bicamerale furono le resistenze del Partito delle Procure alla riforma della giustizia caratterizzata dalla separazione delle carriere - sono cadute in un silenzio tanto colpevole quanto significativo.

Perché proprio D’Alema abbia riconosciuto che la riforma della giustizia di allora venne affondata dalla magistratura rappresenta un mistero solo in parte tale. In privato l’ex leader storico del Partito Democratico non ha mai nascosto la sua opposizione alle invasioni di campo della magistratura ai danni della politica. Ma in pubblico non aveva mai manifestato questa sua opinione. Ora, però, a distanza di tanti anni lo ha fatto con la verità sulla Bicamerale. E la sua ammissione non solo libera il campo di una vulgata fasulla, ma rappresenta un segnale di svolta per quella parte della sinistra che da due decenni ha subito passivamente le iniziative della minoranza ideologizzata della magistratura e delle lobby economiche e giornalistiche che la sosteneva.

D’Alema non è stato il solo a fare autocritica. Prima di lui anche Luciano Violante, che pure era stato il teorico e l’organizzatore del Partito delle Procure, ha ammesso implicitamente di aver sbagliato sostenendo la necessità di superare il “blocco di un ventennio” operato da certi settori della magistratura. A questi segnali si è aggiunta, infine, la candidatura alle elezioni europee di Giovanni Fiandaca, l’autorevole giurista che ha sfidato i nuovi professionisti dell’Antimafia contestando i fondamenti giuridici del processo sulla trattativa tra Stato e Mafia.

Tutto lascia credere, allora, che sia pure faticosamente e tra tante resistenze e contraddizioni, si stiano creando le condizioni per riaprire il discorso sulla riforma della giustizia, da inserire nel quadro delle riforme complessive delle istituzioni che venne bloccato all’epoca della Bicamerale. L’auspicio è che non siano i corresponsabili del “blocco” citato da Violante a diventare i promotori della madre di tutte le riforme. Ma che a farlo siano quelle forze politiche d’ispirazione liberale che da sempre la sollecitano e che hanno tutti i titoli per continuare a farlo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29