La grande demagogia del nuovo Governo

Dunque, senza grosse novità il Consiglio dei Ministri ha varato il famigerato Def (Documento di Economia e Finanza). Viene sostanzialmente confermata l’unica misura concreta della “rivoluzione” renziana, ossia la mancia di 80 euro sui dipendenti che guadagnano meno di 1500 euro al mese. Mentre tra le sempre più ballerine coperture viene introdotta un surreale aumento retroattivo, secondo un oramai acquisito malcostume di chi si trova al Governo, dell’aliquota che le banche interessate alla rivalutazione di Banca d’Italia avrebbero dovuto versare all’Erario: dal 12,5% si passa al 26%.

Ora quest’ennesima barbarie giuridica commessa da un Esecutivo in campo fiscale, che ricalca quella operata da Monti sui capitali scudati, riveste più che altro un valore propagandistico, come d’altronde tante altre misure annunciate da Matteo Renzi in versione venditore di tappeti. Soprattutto per un popolo carente sul piano delle conoscenze economico-finanziarie, l’idea di colpire le tanto odiate banche fa sempre molto consenso. Come se le banche medesime fossero completamente autonome dal Sistema-Paese e, pertanto, generatrici di ricchezza con una sorta di autopoiesi, il Premier vorrebbe farci credere che una simile copertura –stimata in un miliardo di euro – ricadrebbe solo sulle spalle di quest’ultime. Ma, ahinoi, le cose non stanno affatto in questi termini. Dato che qualunque ente finanziario non stampa i quattrini che ha in pancia, bensì utilizza quelli che rastrella dai risparmiatori sul mercato, dovrebbe risultare evidente che ogni salasso tributario operato sulle banche non può che finire sul groppone dei loro clienti, in un modo o nell’altro. Si tratta in estrema sintesi dell’ennesima e, a mio avviso, grottesca riproposizione del gioco del cerino acceso, il quale finirà sempre per bruciare le dita dell’anonimo contribuente.

D’altro canto, il mondo della finanza in generale è oggetto da tempo delle voraci attenzioni fiscali degli ultimi governi (basti pensare alla tobin tax ed al forte inasprimento dell’imposta sul capital gain). Una vorace attenzione che, come sopra accennato, trova la sua giustificazione in molta ignoranza e in un diffuso pregiudizio. Sta di fatto che se anche Renzi ritiene, come in realtà sta già facendo, di attingere risorse nel già disastrato settore del risparmio privato, ne ricaverà nell’immediato un buon ritorno sul terreno del consenso a buon mercato. Tuttavia sul piano macroeconomico egli non farà altro che proseguire nella catastrofica linea di chi lo ha preceduto. Una linea fallimentare tendente a spostare una sempre maggiore quota di risorse dal settore privato a quello pubblico, con l’unico scopo di comprarsi legalmente i voti a colpi di spesa pubblica. Se questo è il nuovo che avanza, stiamo veramente freschi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22