Riformismo autoritario del Premier Renzi

Grande colpo propagandistico quello compiuto da Matteo Renzi con la decisione, presa in un istante, di cambiare le liste elettorali del Partito Democratico sostituendo i capolista già prescelti con cinque donne giovani e rampanti! Quelli che già avevano fatto la bocca al ruolo privilegiato, i vari Emiliano e Sassoli, hanno masticato amaro. Ma la segreteria ha approvato all’unanimità la mossa del segretario-Premier, la minoranza con Massimo D’Alema ha applaudito al “segnale forte” ed i media fiancheggiatori si sono affrettati a salutare con entusiasmo l’atto con cui Renzi ha dimostrato di volere e sapere innovare profondamente il volto del proprio partito puntando sulle donne e andando ben oltre la limitazione delle “quote rosa”.

Ma la vicenda della sostituzione dei capolista in precedenza scelti dopo le solite trattative faticose tra le correnti interne con cinque signore che sono sempre rappresentative delle varie anime del Pd ma che sono state autonomamente e personalmente indicate dal segretario, non è una semplice operazione propagandistica. È anche, e forse soprattutto, l’indicazione del più profondo e vero tratto distintivo del cosiddetto “riformismo renziano”. Un riformismo che non è segnato solo dall’attivismo del Presidente del Consiglio, dal suo giovanilismo, dalla sua modernità politicamente corretta, dall’ansia di innovazione e capacità di rottamazione del vecchio. Ma che sembra essere sempre più caratterizzato dall’intuizione che l’opinione pubblica del Paese, frastornata dalla grande incertezza e paura provocate dalla crisi, non si limiti a chiedere novità, freschezza, voglia di fare e cambiamento, ma pretenda anche rapidità e libertà di esecuzione da parte del Premier innovatore.

Dal Paese, in sostanza, non sembra salire soltanto la solita richiesta di riforme e di trasformazione, tipica dei momenti di difficoltà della società nazionale, ma un’esigenza più forte e profonda - anche questa ricorrente quando le difficoltà sono più forti e cancellano le vecchie sicurezze che davano serenità al corpo sociale del Paese - quella che le riforme siano fatte effettivamente, rapidamente, senza ostacoli, cioè d’imperio. Si tratta, in sostanza, della richiesta dell’“Uomo della Provvidenza” che sappia guarire con la propria capacità e volontà la grande malattia in atto nel Paese affrontando l’emergenza sociale con l’emergenza politica.

È difficile stabilire se Renzi sia pienamente consapevole di questa voglia di “uomo forte” che viene dall’opinione pubblica italiana. E se il suo progetto politico ed i suoi comportamenti siano razionalmente indirizzati a raccogliere un segnale così disperato. È un fatto, però, che, consapevolezza o non consapevolezza, il riformismo di Renzi non sia affatto neutro ma sia sempre più caratterizzato in senso autoritario. Come definire altrimenti il caso delle liste modificate all’ultimo istante con la sostituzione dei capolista decisi dalle trattative interne di partito con i capolista scelti, sia pure con il conforto del Manuale Cencelli, ma in maniera assolutamente autonoma (cioè autoritaria) dal segretario?

I cosiddetti “professoroni” hanno denunciato questo rischio di autoritarismo nel riformismo renziano sollevando la questione del Senato non elettivo. Ma non c’è bisogno di fare riferimento ai nostalgici irranciditi della “Costituzione più bella del mondo” nel rilevare che la linea complessiva seguita da Renzi, dall’abolizione dei “ludi cartacei” nelle Province e nel Senato fino alla riduzione del metodo democratico all’interno del proprio partito, sia propria quella del riformismo autoritario come risposta alla richiesta di sicurezza del Paese.

Quando è autoritario il riformismo alla lunga non è più tale. Diventa solo autoritarismo. 

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:27