Milei e la dollarizzazione

venerdì 23 febbraio 2024


Il nuovo presidente dell’Argentina, Javier Milei, ha promesso una terapia d’urto per l’economia del suo Paese, un tempo tra le nazioni più ricche del mondo, diventato un fallimento economico dopo aver ceduto alle politiche peroniste nella seconda metà del Ventesimo secolo. Eletto alla fine del 2023, Milei che sembra procedere senza intoppi verso un rilancio del suo Paese, sta ora concentrandosi sulla “dollarizzazione” dello Stato, misura fondamentale che significa che l’Argentina rinuncerebbe al peso e utilizzerebbe il dollaro statunitense come valuta ufficiale strappando, di fatto, il controllo della politica monetaria alla banca centrale argentina per consegnarlo alla Federal Reserve americana. Qual è la conseguenza? Adottando il dollaro statunitense, l’aumento o la riduzione dei tassi di interesse da parte della Fed e il ciclo economico verrebbero automaticamente esportati in Argentina. Allora, forse, sarebbe meglio agganciarsi a un paniere di valute, un sistema ibrido più vicino a un regime valutario fisso per il commercio.

Tuttavia, a ben riflettere, non ci sarebbe affatto bisogno di ufficializzare la transizione dal peso al dollaro (che comporterebbe la dipendenza dalla politica monetaria statunitense), perché l’economia argentina è già stata dollarizzata senza decreti o leggi. Dato che il peso argentino è stato regolarmente svalutato nel corso di decenni, una valuta ragionevolmente affidabile come il dollaro ha preso, di fatto, il suo posto. Già da anni gli argentini non risparmiano in pesos ma in dollari. E se vogliono comprarsi casa, o altre attività patrimoniali, sono costretti a pagare con la valuta statunitense. Milei non ha dunque bisogno di preoccuparsi molto di decretare il dollaro come valuta ufficiale dell’Argentina, ben sapendo che il denaro in circolazione è un fenomeno di mercato, altrettanto naturale quanto la circolazione di beni e servizi reali. In altre parole, l’enorme presenza di dollari in Argentina non è nata da una pianificazione, né i dollari sono stati lì collocati dalla banca centrale americana Federal Reserve. I dollari circolano in quantità considerevoli in tutta l’Argentina semplicemente perché, qui, ci sono prodotti, servizi, manodopera, attività patrimoniali e il denaro degno di fiducia ha scopo solo nella misura in cui c’è produzione e produttività da scambiare. D’altra parte, quando l’Argentina ha bisogno di beni e servizi dal Brasile o dall’Europa deve necessariamente utilizzare, come intermediario, proprio il dollaro.

Pertanto, la circolazione della moneta di riserva in Argentina non è una conseguenza di una “saggia” gestione della cosiddetta “offerta di moneta” da parte di banchieri centrali. La realtà è molto diversa. E questo vale ben oltre l’Argentina. La semplice verità è che alla base di tutti i contraccambi monetari c’è lo scambio di beni, servizi e lavoro. E coloro che scambiano uno qualsiasi dei tre necessitano sempre di denaro fidato come arbitro delle transazioni in modo che possano ottenere un valore approssimativamente uguale a quello che stanno portando sul mercato. Quando si offrono beni e servizi di qualità, in cambio di tali beni e servizi ci sarà sempre denaro di qualità perfino nello Zimbabwe. Il denaro di qualità, sempre presente quando si offrono beni, servizi e attività finanziarie pregevoli è come se fosse messo lì da una “mano invisibile”, alias il complesso delle potenti forze di mercato che regolano ciò che i mezzi di scambio fanno o non fanno circolare. Non sono quindi necessari banchieri centrali, tesorerie o zecche di Stato. Per le stesse ragioni, nessuno prende in prestito denaro. Ciò che si prende in prestito, nella realtà, è ciò con cui il denaro può essere scambiato. Sempre. Pertanto, solo il settore privato può aumentare i prestiti o la liquidità, semplicemente perché è qui che tutti i beni e i servizi sono prodotti e non da Governi o banche centrali. È dal settore privato che proviene la circolazione costante di denaro fidato anche dove, come in Argentina, non ha “corso legale”. In fondo, la stessa cosa avviene nel libero mercato dell’eurodollaro, il sistema dei dollari statunitensi al di fuori della giurisdizione degli Stati Uniti e del controllo del loro sistema monetario nazionale, ma che rappresenta, secondo le statistiche della Banca dei regolamenti internazionali, oltre il doppio della circolazione del dollaro ufficiale. E infatti qui che circola il doppio dei prestiti in dollari rispetto al mercato interno Usa.

Il denaro si trova sempre e dovunque dove c’è lavoro e produzione, senza i quali non ha scopo e serve a nulla. Ecco perché le forze del mercato invertono di continuo le azioni delle banche centrali in pochi minuti. La felice verità del mercato è che nessun individuo, nessuna azienda, nessun isolato, nessuna città, Stato o Paese deve mai preoccuparsi di avere troppi o troppo pochi soldi. Deve preoccuparsi solo di avere produzioni vendibili. Le forze di mercato sono piuttosto esigenti su questo argomento, data la verità sopra esposta in base a cui desideriamo più o meno l’equivalente di ciò che siamo in grado di portare nel mercato. Dal momento che lo facciamo, il denaro fidato circolerà sempre, come se fosse una “mano invisibile”, dovunque ci siano beni di mercato reali da scambiare. Ecco perché il dollaro, anche se sicuramente imperfetto, è la valuta di scambio nella maggior parte del mondo. Seriamente, chi sa quale dovrebbe essere la giusta quantità di denaro? In un quartiere, in una città e in un Paese? Eppure, i sostenitori dell’offerta di moneta continuano a discettare su quella che immaginano sia l’“offerta” corretta. È l'equivalente di discutere quale sia la giusta quantità di automobili, camion, computer o cellulari nell'economia. Roba da piano quinquennale sovietico. Dimenticavo: se Milei vuole rilanciare l’Argentina creando più beni e servizi, quindi denaro degno di fiducia, deve anche eliminare le tasse sul reddito, come fecero prima Inghilterra e poi Stati Uniti diventate, soprattutto grazie a tale misura, potenze economiche mondiali prima di venir corrotte dalle politiche colonialiste e socialiste.


di Gerardo Coco