Ri-globalizzare il mercato per fermare il disastro

Parafrasando Frédéric Bastiat, potremmo dire che dove passano i carri armati e volano i droni non circolano più né petrolio né farmaci. Oggi, noi in Italia ci ritroviamo con i carburanti che aumentano di prezzo, dopo e a prescindere dal ripristino delle accise, con una serie di componenti farmacologici che non si trovano più a disposizione dei nostri malati. È sufficiente leggere l’ultimo aggiornamento sul sito dell’Aifa, l’Agenzia governativa del farmaco, per capire che siamo messi male e la situazione non potrà che peggiorare ulteriormente.

Sono infatti 3.200 i medicinali che non si trovano nelle farmacie di tutta Italia. Tra questi antinfiammatori, antipiretici, alcuni tipi di antibiotici, cortisonici per l’aerosol, prodotti per la tosse, ma anche farmaci antipertensivi e antiepilettici. Recentemente, Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei farmacisti italiani (Fofi), cogliendo il nocciolo della questione, ha detto: “Con la guerra in Ucraina ancora in corso e i conseguenti problemi produttivi legati alla crisi energetica e alla scarsità di materiali il packaging, come vetro e alluminio, il picco della stagione influenzale e l’onda lunga del Covid che sta interessando anche i Paesi asiatici produttori di principi attivi come la Cina e l’India, la situazione stenta a tornare alla normalità”.

Una tempesta perfetta in mezzo alla quale ci stiamo trovando immersi senza nemmeno un ombrello per ripararsi. Inutile tornare sul caro energia che persiste inesorabilmente ma una considerazione è ormai evidente ai più: prima si fermano le armi e prima ripartiranno i commerci e caleranno i prezzi. La globalizzazione, troppo stupidamente vituperata a destra quanto a sinistra, ha permesso un lungo periodo di benessere e crescita economica, inserendo nel circuito internazionale interconnesso e interdipendente la Cina, la fabbrica del mondo, la Federazione Russa, la miniera della terra, e l’Occidente il grande laboratorio del globo. Ma da quando si è rotto questo meccanismo, è saltato il modello di sviluppo euro-statunitense.

Il tutto, poi, ha determinato l’esplosione dell’inflazione (fenomeno non solo monetario), a cui ha contribuito in maniera determinante la chiusura delle fabbriche della tigre asiatica per l’assurda, per noi ma non per loro, scelta del Partito Comunista cinese di imporre misure draconiane e liberticide anti-Covid, che ha fatto diminuire la disponibilità di tutta una serie di prodotti a buon mercato, essenziali per le nostre aziende. E quindi, a seguito di un calo dell’offerta e di un contestuale aumento della domanda, non ci voleva un genio per capire che i prezzi sarebbe saliti inesorabilmente. Poi a questo si sono sommati gli effetti delle politiche economiche a base di spesa pubblica e di bonus, come in Italia il 110 per cento voluto dal Governo a guida Cinque Stelle, che hanno fatto aumentare la massa monetaria circolante e la richiesta di materie prime e di energia determinando un altro fattore inflazionistico. Purtroppo, in questa dimensione spazio-temporale siamo nel regno della scarsità. Quindi, quello che non abbiamo lo dobbiamo preferibilmente acquistare con la moneta o in subordine – malauguratamente – conquistare con i carri armati.

Di fronte a questa realtà, se non si mette rapidamente termine con una autentica iniziativa diplomatica ai combattimenti in Ucraina, che assorbono risorse umane e materiali, come il gasolio che qui scarseggia sia a causa delle sanzioni anti-Russia sia perché inviato con i mezzi militari di Zelensky, noi rischiamo di arrivare alla determinazione estrema di entrare con gli scarponi della Nato sul territorio ucraino per porre fine alla mancanza di materie prime, essenziali per la nostra industria. Il peggio sarà che i governi lo faranno con il sostegno morale dell’opinione pubblica dei rispettivi popoli, che all’agiatezza e al modello di vita a cui sono ormai abituati non vogliono e non possono più rinunciare. Altro che industria green e cibi vegani: se non si ha chiaro il baratro su cui balliamo, vedremo un mondo devastato e in preda al caos.

La soluzione al carovita, in ogni caso, non è nell’intervento diretto in economia dei governi, che spesso invece hanno solo aggravato la situazione, ma nell’impegno autentico per fermare l’escalation bellica per riaprire il mercato e il “villaggio globale”. La più efficace ricetta pacifista consiste nella libera circolazione di uomini e mezzi. E non nella costruzione di una nuova cortina di ferro. Speriamo di essere ancora in tempo per ri-globalizzare il mercato, perché altrimenti “a un certo punto, istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualche cosa è cambiato, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa tempo a fissarlo che già precipita verso il fiume dell’orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l’una sull’altra, tanto è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire” come scrisse Dino Buzzati ne Il deserto dei Tartari.

Aggiornato il 13 gennaio 2023 alle ore 10:39