I misteri dello spread

Indicatore o strumento di pressione politica?

L’asimmetria dei tassi d’interesse applicati tra i Paesi che aderiscono al sistema della moneta unica (euro) è un autentico rompicapo. Il differenziale dei tassi d’interesse corrisposti sui titoli del debito pubblico italiano rispetto a quello tedesco, francese, spagnolo, portoghese e degli altri Paesi facenti parte dell’euro, non trova riscontro nei fondamentali dell’economia comparata. Lo spread è il differenziale di tasso che dovrebbe misurare il rischio per l’investitore. A una più alta affidabilità del debitore finanziato corrisponde l’applicazione di tassi di interesse più bassi. Al contrario, meno è affidabile il debitore più è alto il tasso d’interesse che esige il creditore. In sostanza, lo spread misura il rischio di insolvenza del debitore. Il debito pubblico sovrano italiano è più rischioso di quello francese, spagnolo o portoghese? I dati oggettivi sui fondamentali dell’economia italiana, rispetto agli altri Paesi europei indicherebbero di no. Le variabili che incidono sullo spread dovrebbero essere: il rapporto deficit-Pil, la stabilità politica del Paese, la quota di debito pubblico in mano a creditori esteri, l’affidabilità del Paese emittente, la struttura produttiva del Paese, la crescita economica, il livello di esportazione, la bilancia commerciale e dei pagamenti, la ricchezza privata delle famiglie.

Il rapporto deficit-Pil italiano è decisamente alto rispetto agli altri Paesi euro fatta eccezione per la Grecia. Il successo elettorale del centrodestra con l’assegnazione di una larga maggioranza lascia prevedere un governo stabile e di legislatura.  L’Italia deve far rientrare il debito pubblico entro limiti fisiologici anche se il peso del debito è sostenibile. Un governo stabile di legislatura lo potrebbe riportare entro limiti accettabili. Per quanto attiene la quota di debito in mano a creditori esteri l’Italia si trova in una situazione di vantaggio rispetto agli altri Paesi. Il debito sovrano italiano è sottoscritto in larga parte da operatori finanziari e risparmiatori italiani. Più scende la quota di investitori esteri meno l’Italia è esposta al rischio spread. L’Italia ha sempre ottemperato al pagamento degli interessi e al rimborso del capitale a scadenza. L’Italia gode di una eccellente storia del credito. L’Italia ha una struttura produttiva composta essenzialmente da piccole e medie imprese. Apparato produttivo di eccellenza con una elevato grado di flessibilità. Le imprese italiane sono in grado di meglio rispondere alle situazioni di crisi come hanno ampiamente dimostrato dopo la pandemia. Negli ultimi due anni la crescita economica dell’Italia è stata tra le più alte in Europa e ha superato sia la Germania che la Francia rispettivamente la prima e la seconda economia dell’Unione europea. L’Italia, macina anno dopo anno, nuovi record di esportazione dei nostri prodotti verso il resto del mondo.

Al netto dell’importazione di prodotti energetici, la bilancia commerciale e dei pagamenti italiani sarebbe decisamente tra le più positive. La ricchezza personale delle famiglie italiane è comparabile a quella tedesca e nettamente superiore agli altri Paesi. La propensione al risparmio e le disponibilità finanziarie degli italiani sono tra i più alti del mondo.  Il vero problema non sono i fondamentali dell’economia che determinano l’alto spread, ma la paura “indotta” da parte di istituzioni e media internazionali che hanno interesse a screditare il nostro Paese. Se i risparmiatori italiani vinceranno la “paura” e continueranno ad avere fiducia nei titoli di Stato italiano gli stessi saranno premiati per la loro buona remunerazione del capitale e per la sicurezza del capitale investito. La libertà delle nostre istituzioni politiche passa per una maggiore consapevolezza della forza economica della nostra nazione!

Aggiornato il 11 gennaio 2023 alle ore 10:08