Recessione pilotata

L’inflazione galoppante degli ultimi due anni è sfuggita di mano alle banche centrali degli Stati Uniti, dell’Europa e del Regno Unito. La crisi di liquidità causata negli Usa dai mutui subprime, a cavallo tra il 2007 e il 2008, ha costretto la Federal Reserve a iniettare nel sistema finanziario una quantità di liquidità senza precedenti. Il massiccio intervento della Banca centrale americana è stato fondamentale in quel momento, per evitare una crisi come quella del 1929 (il crollo della borsa di New York) che avrebbe potuto comportare quella che gli economisti definirono “depressione economica”.

Lo stesso avrebbe dovuto tempestivamente fare la Banca centrale europea per contrastare gli effetti economici e finanziari della crisi dei subprime anche nel Vecchio Continente. Intervenne in ritardo anche per l’opposizione dei Paesi cosiddetti frugali capitanati dai falchi della Bundesbank tedesca, con il Quantitative Easing, ovvero l’acquisto massiccio di titoli obbligazionari emessi dagli Stati europei. Gli acquisti della Banca centrale europea alleggerirono il peso del differenziale di tassi tra gli Stati membri dei Paesi facenti parte dell’unione monetaria. Negli ultimi tempi, l’inversione della politica monetaria, da espansiva a fortemente restrittiva, da parte della Federal Reserve americana ha l’obiettivo di contrastare l’inflazione che non si vedeva dagli anni Ottanta.

Ancora una volta la Bce – con la governatrice Christine Lagarde – ha seguito pedissequamente le decisioni del presidente della Banca centrale statunitense, Jerome Powell, sulla politica di aumento dei tassi d’interesse. In realtà, la differenza è sostanziale tra l’inflazione nell’Europa, che è essenzialmente causata dalla importazione di fonti energetiche (petrolio e gas) a prezzi quadruplicati e quella Usa, che è generata da una economia surriscaldata dall’eccesso di domanda per consumi.

In sostanza, le condizioni economiche e finanziarie che possono giustificare la politica monetaria americana non trovano il medesimo riscontro nella politica monetaria adottata dalla Bce. Sorge il dubbio, da quando la Lagarde è governatrice della Banca centrale europea, che l’Istituto di emissione dell’euro non abbia una politica monetaria autonoma. Ancora più grave per l’economia italiana (che sconta un costo del denaro più alto rispetto ai diretti competitor della sua struttura produttiva, ossia l’industria tedesca e francese) è la modalità di comunicazione della governatrice francese. È un assioma che i banchieri centrali devono tacere. E se comunicano, devono essere chiari sulle politiche monetarie, senza possibilità di interpretazioni. Quando Christine Lagarde annuncia le decisioni del board della Banca centrale, crea delle situazioni di incertezza sui mercati finanziari. Pertanto, le critiche all’aumento dei tassi d’interesse (50 punti base) da parte del Governo italiano sono ampiamente giustificate, sia per i tempi di attuazione che nelle modalità. Non è lesa maestà criticare l’operato della Bce.

La situazione della politica monetaria delle banche centrali è paradossale. Gli errori clamorosi delle politiche monetarie, da loro perpetrate, vengono fatti pagare alle economie, causando una recessione pilotata che è, a loro avviso, l’unico strumento per far rientrare l’inflazione entro dei limiti accettabili!

Aggiornato il 21 dicembre 2022 alle ore 10:14